Nell’ambito del Festival d’Autunno che il Maggio Musicale Fiorentino ha dedicato a Giuseppe Verdi (in particolare, alle sue opere ambientate in Spagna), ho assistito a Il trovatore, che fa parte (assieme a Rigoletto e Traviata) della cosiddetta trilogia popolare.
Fuoco, Amore, Odio, Gelosia e Vendetta sono i sentimenti che dominano quest’opera sanguigna e con una storia a tratti violenta. Il libretto di Salvatore Cammarano è tratto da un dramma romantico dello spagnolo Antonio García Gutièrrez, un seguace di Victor Hugo, e alla prima lettura impressionò talmente Verdi da definirlo «bellissimo, immaginoso e con situazioni potenti» e da indurlo a chiedere al librettista una versione ridotta per lui.
Il trovatore si può definire un’opera notturna (tutto avviene di notte o alle prime luci dell’alba), buia, disperata e romantica, che porta in scena il dramma di un personaggio ai margini della società, la zingara Azucena, una donna vittima di pregiudizi come la madre, perseguitata come strega. Una tragica storia su cui Verdi pone grande attenzione, tanto da voler inizialmente dedicare a lei l’opera, intitolandola La gitana.
Il Maestro Zubin Mehta – alla guida della superba orchestra del caro Maggio Musicale Fiorentino – ne coglie gli aspetti più profondi e li restituisce con una lettura meditata e con una suadente tinta ‘lunare’ che riesce a ottenere dall’orchestra, sottolineando gli aspetti più romantici di questo capolavoro. Commoventi e memorabili soprattutto gli accompagnamenti delle due arie di Eleonora (specialmente del D’amor sull’ali rosee), il duetto fra Manrico e Azucena del secondo atto, Il balen del suo sorriso e il Miserere.
In questa edizione fiorentina Azucena era interpretata dalla mezzosoprano bielorussa Ekaterina Semenchuk, dotata di una voce estesissima e di una tecnica vocale sopraffina, che ci hanno regalato una Gitana straordinaria, intensa, attenta a ogni sfaccettatura, assolutamente magnetica: raramente ho ascoltato questa parte così ben interpretata e definirla emozionante è dire poco.
Manrico era il tenore trevigiano Fabio Sartori, bella voce e capacità interpretative maturate con gli anni. Il suo è un Manrico più eroico che innamorato e con timbro e fraseggio non disprezzabili affronta con sicurezza e intensità la partitura, con ottimi risultati.
L’acerrimo e spietato rivale di Manrico, Il Conte di Luna, era interpretato dal baritono mongolo Amartuvshin Enkhbat, voce bella e naturalmente scura, ampia, potente, omogenea e sicura in tutta la gamma: hanno sorpreso la sua perfetta dizione e una tecnica eccezionale, che gli hanno permesso di disegnare con efficacia il personaggio, anche se forse più basato sulle sue enormi doti vocali che sulla ricerca introspettiva, che probabilmente imparerà presto a maturare.
María Josè Siri – di recente ascoltata spesso a Firenze (Trittico pucciniano, Nabucco, Adriana Lecouvreur, I due Foscari) e prossima interprete del ruolo di Elvira in Ernani – è stata un’Eleonora molto efficace: la voce è bella, di discreto colore e sonora nell’ottava superiore, e porta in fondo una parte molto lunga e difficile con tranquillità, anche se mi è apparsa leggermente affaticata.
Il basso Riccardo Fassi – eccellente per presenza vocale e scenica e per incisività nel fraseggio – fa emergere il suo personaggio (Ferrando) come se fosse – e con lui lo diventa – uno dei personaggi principali.
Della regia, mi taccio.
Individuare un vino per Il trovatore non è cosa da poco. Scuramente rosso, con corpo tendente al robusto; spigoloso e quasi mosso, per abbinarsi alle numerose cabalette e agli accelerando, ma anche morbido, per abbinarsi alle arie straordinarie degli interpreti principali.
Un vino che non lasci dubbi a chi lo assaggia, un vino con riconoscimenti immediati e di pronta beva; un vino semplice e solare (in contrapposizione all’opera notturna) che piaccia fin dal primo sorso ma che poi non stanchi, perché Il trovatore è un’opera che ti prende subito ma che poi ascolti e riascolti senza stancarti.
Mi viene da pensare a una Barbera d’Alba di ottima annata e di ottima fattura, ben strutturata e ricca ma al contempo viva e vivace, che soddisfi il sorso e persista abbastanza a lungo per accompagnare una necessaria e piacevole meditazione.