Ai primi di Giugno ha avuto luogo a Firenze un evento eccezionale: una serata  – organizzata da AIS Firenze (nelle persone di Paolo Bini e Massimo Castellani) – dedicata all’Aglianico del Vulture, con una ricca degustazione e la partecipazione delle 8 aziende che hanno dato vita alla giovane associazione Generazione Vulture.

La Basilicata, terra meravigliosa e di condiviso apprezzamento paesaggistico e culturale, ha la fortuna di avere al suo interno un territorio – il Vulture, appunto – di cui troppo spesso non si ha l’esatta percezione di cosa sia. Luogo del sud piuttosto atipico (terra di montagne e di sorgenti, caratterizzata da freddo, pioggia e notevoli escursioni termiche), si trova nella parte nord-orientale della provincia di Potenza, al confine con Puglia e Campania. E proprio lì c’è lui, il Vulture, un vulcano estinto da 130.000 anni, che – con i suoi 1300 metri di altezza e con le conseguenze della sua secolare attività vulcanica – coinvolge e caratterizza tutta l’area, con la sua presenza incombente e con i suoi terreni ricchi di minerali. Storicamente, inoltre, il Vulture è sempre stato un territorio interessante e misterioso; durante il Medio Evo, l’imperatore Federico II lasciò tracce indelebili della sua presenza, contribuendo anche a rilanciare l’interesse per la viticultura.

L’area di produzione dell’Aglianico del Vulture comprende i comuni di Atella, Barile, Ginestra, Melfi, Rapolla, Ripacandida, Rionero in Vulture, Maschito, Lavello, Venosa, Forenza, Acerenza, Banzi, Genzano di Lucania e Palazzo San Gervasio. Pur non essendo particolarmente vasta, quest’area mostra una grande varietà morfologica. Il suolo è di tufo di origine vulcanica, con terreno calcareo-argilloso, ricco di potassio e calcio, che – oltre a favorire lo sviluppo della vite – conferiscono mineralità e struttura al vino. Le vigne conferite nella DOCG arrivano ai 700 metri di altitudine, mentre quelle della DOC sono impiantate tra i 250 e i 400 metri, e alcune di esse sono ancora a piede franco. La maturazione dell’Aglianico è piuttosto tardiva, con l’invaiatura verso il 10 di agosto e la vendemmia verso fine Ottobre, se non ai primi di Novembre. La foglia è di dimensioni medie e il grappolo è compatto, spargolo e anch’esso di media grandezza, come lo è l’acino, che presenta una buccia pruinosa, consistente ma sottile e di colore blu-nero, per un vino di colore rosso rubino intenso, fruttato, speziato e tipicamente tannico.

Tre giovani produttrici hanno introdotto il progetto di Generazione Vulture, presentando i propri vini e quelli di tutti gli associati, caratterizzando una degustazione di grande emozione: Elena Fucci ha spiegato il progetto, ideato da 8 giovani produttori, che si sono scelti per collaborare e comunicare all’esterno la Basilicata e il Vulture, coinvolgendo il pubblico con la loro caparbietà e la voglia di farsi ambasciatori di questa regione e del proprio prodotto; Viviana Malafarina – una genovese alla guida dell’azienda Basilisco – è stata ammaliata e rapita da questo ambiente così particolare, impegnativo e affascinante; infine Carolin Martino, figlia del proprietario dell’azienda omonima, pur se giovanissima, ha mostrato la stessa caparbia volontà produttiva e una profonda preparazione. Le 8 aziende di Generazione Vulture – alcune certificate biologiche e tutte comunque indirizzate a diventarlo – sono: Elena Fucci, Cantine Madonna delle Grazie, Grifalco, Bisceglia, Musto Carmelitano, Carbone, Basilisco e Martino.

La degustazione, guidata da Massimo Castellani e Paolo Bini – ai quali si è poi aggiunto, essendo presente in sala, anche il Miglior Sommelier italiano in carica, l’amico Simone Lo Guercio – è iniziata con l’Aglianico del Vulture DOC Titolo 2017 di Elena Fucci, azienda di Barile che ha iniziato a produrre nel 2000. Questo vino riposa per 12 mesi in barriques di primo e secondo passaggio e affina per 12 mesi in bottiglia. Il colore è giovane, con trama fitta e con sfumature porpora. Al naso mostra un importante ventaglio odoroso di mora, gelso, glicine, fiordaliso e macchia mediterranea; roteando il calice, esce la sua anima minerale ed elegante, con sentori di eucalipto. All’assaggio è concreto: entra fresco e si apre con sensazioni di amarena, risultando di buona sapidità e con un tannino pulito e preciso, con finale balsamico e tocco amaricante.

Il secondo vino era l’Aglianico del Vulture DOC Messer Oto 2016 di Cantine Madonna delle Grazie, della zona di Venosa, un’azienda – 8 ettari vitati – a conduzione familiare. Il vino fermenta in acciaio, con una macerazione di 10-15 giorni, per affinare poi ancora in acciaio e quindi in bottiglia. La 2016 è stata un’annata fresca e abbastanza piovosa, con maturazione nella prima decade di Ottobre. Di colore rosso rubino, con sfumature sul granato, presenta un tratto aromatico meno compatto del precedente; agitando il bicchiere, esce fuori la frutta rossa, con sentori di confettura, carrube e rabarbaro, per chiudere con una speziatura di anice stellato. Il sorso mostra un tannino ritroso, supportato dall’acidità in maniera progressiva, per finire poi con note di lampone, ciliegia, arancia sanguinella e rosa.

Il terzo assaggio è stato l’Aglianico del Vulture DOC Grifalco 2016 di Grifalco, un’azienda certificata biologica fondata dalla famiglia Piccin, originaria di Montepulciano e guidata da Lorenzo e Andrea, con vigneti a Venosa, Ginestra, Forenza e Maschito. Il vino affina per il 50% in botti di rovere di Slavonia per 12 mesi, mentre l’altro 50% vede solo acciaio. Il colore è più giovanile e al naso è suadente, con frutti di mora e mirtillo,  evidente balsamicità, decisa mineralità e speziatura (cannella). In bocca esprime note carnose, un’acidità sferzante e un tannino ben presente ma non scontroso; sottile al palato, è sicuramente predisposto per una lunga vita.

Il quarto vino è stato l’Aglianico del Vulture DOC Gudarrà 2015 di Bisceglia, azienda di Lavello, al confine con la Puglia, con vigne a 200-300 metri di altitudine, quindi più basse di quelle dei vini precedenti. Il Gudarrà (che in dialetto significa godrà) è il vino di punta dell’azienda e matura 12 mesi in barriques e 12 mesi in bottiglia. Figlio di un’annata senza dubbio equilibrata, ha colore intenso e luminoso (rosso rubino avviato verso il granato) e al naso si presenta rotondo e avvolgente, con sentori di frutta sotto spirito e di rosa appassita. Oltre ad avere un tannino importante e di buona fattura, il sorso è sapido, minerale e davvero lungo.

La quinta proposta è stata l’Aglianico del Vulture DOC Serra del Prete 2015 di Musto Carmelitano, azienda della zona di Maschito, con vigne a 500 metri: frutto di un solo vigneto, fermenta e matura 6 mesi in serbatoi di acciaio, quindi affina 6 mesi in cemento e 12 mesi in bottiglia. Di colore rosso rubino tendente al granato, al naso si apre verso il floreale e la frutta rossa, con note ematiche e ferrose, balsamicità nitida ed elegante. In bocca è graffiante e incisivo, con un bel tannino e una piacevole scia agrumata, risultando un’espressione pura e tipica del suo territorio.

Per il sesto assaggio è stato servito l’Aglianico del Vulture DOC Stupor Mundi 2014 di Carbone, azienda familiare di Melfi, nata negli anni ’70 e certificata biologica sotto la conduzione di Luca e Sara Carbone. Dopo la fermentazione (con macerazione di 15 giorni), il vino matura per 12 mesi in tonneaux – in una grotta, a temperatura costante – e affina per 2 anni in bottiglia. Esprime da subito una grande ed elegante concentrazione, col colore che tende al granato, e al naso sprigiona sentori di frutta (in confettura e anche secca) e di legno di ulivo, tabacco, terra e corteccia di china. Il frutto si fonde col cioccolato e in bocca richiama anche la confettura di rosa canina: entra fresco, con un tannino graffiante, centrale e dritto, finendo decisamente lungo. È un vino elegante e sorprendente, considerata anche la criticità dell’annata.

Il settimo vino proposto è stato l’Aglianico del Vulture Superiore DOCG Basilisco 2012 di Basilisco, blend di uve provenienti da diversi vigneti situati a circa 500 metri a Barile, sul cono del vulcano, su suoli rossi e di basalto. Azienda fondata nel 1992, coltiva 25 ettari di vigneti biologici e ha la sede nelle otto antiche grotte nella colata lavica di Via delle Cantine, nel cuore del Vulture. Per questo vino sono state utilizzate barriques di primo passaggio e tonneaux. Di un sorprendente colore rubino scarico, esprime al sorso una leggera nota amaricante, insieme a caramella d’orzo, note di polvere da sparo, goudron e un tannino evidente e ben fatto; avvolgente e maturo, riempie il palato, esprimendo una grande eleganza, in cui il tannino e la freschezza la fanno da padroni.

La degustazione è terminata con l’Aglianico del Vulture Superiore DOCG Martino 2012 di Martino, azienda con sede a Rionero in Vulture e che porta il cognome del suo innovatore Armando, oggi affiancato nella produzione dalla figlia Carolin, presente in sala. L’uva è stata raccolta manualmente nella prima settimana di Novembre, la fermentazione sulle bucce è durata 20 giorni, dopodiché il vino è maturato per 15 mesi in barriques e affinato per 12 mesi in bottiglia. Di colore rosso rubino tendente al granato, sprigiona note di rosa e ciclamino, con decise sensazioni balsamiche e di anice stellato, seguite da sentori di ciliegia e mirto e da un finale ferroso. In bocca è fresco e brioso, con ritorni di arancia sanguinella e poi tamarindo, sandalo e legno di cedro, senza perdere mai il tratto floreale.

La bella serata si è chiusa con i dovuti ringraziamenti e la consegna di una targa a ricordo dell’evento all’associazione Generazione Vulture. Per me è state e resterà una serata da ricordare, che mi ha lasciato una grande voglia di fare qualcosa per questo gruppo di giovani produttori, che respirano e trasmettono un entusiasmo e una determinazione davvero ammirevoli e, soprattutto, producono vini capaci di farci sentire dalla loro parte.