Cosa può accomunare due realtà così diverse del territorio veronese come quella di Rocca Sveva (della Cantina di Soave) e quella di Fasoli Gino, viticoltori da quattro generazioni? Eppure io ce li vedo, alcuni punti di contatto, quelli che mi hanno portato a visitarle nello stesso giorno. In primis, la scelta di proporre, oltre a una linea più commerciale di prodotti, anche una selezione di etichette per palati fini. In secundis, il rispetto e l’amore per il territorio che emergono in ogni occasione. E poi la voglia di ricerca e di sperimentazione: Rocca Sveva con la creazione di un vigneto sperimentale, in cui i viticoltori dell’intero comprensorio possano esercitarsi in varie tecniche agronomiche e studiare le selezioni clonali più idonee alle loro esigenze; Fasoli Gino, invece, con la produzione di un vino quasi impensabile (unico e solo, per quello che mi ricordo al momento) da uve Pinot Nero lasciate in appassimento.

La giornata comincia con la visita a Rocca Sveva, il piccolo gioiello della Cantina di Soave, un colosso da ben 2.200 soci, che ha saputo proteggere il territorio, ricominciando – praticamente da zero – il recupero della qualità in una Denominazione che aveva vissuto momenti di crisi profonda, sia identitaria che produttiva. Il ruolo svolto dalla principale azienda del comprensorio è stato anche di supporto tecnico per gli altri vignerons, con una squadra di agronomi provenienti dall’Istituto Agrario di Conegliano Veneto e una pioggia di cospicui investimenti per rimodernare l’intera filiera produttiva.

Scendendo nella bottaia ci troviamo di fronte a una fila interminabile di recipienti delle dimensioni più varie, con umidità e temperatura perfettamente costanti, grazie a una circolazione d’aria creata da correnti d’acqua sotterranee che bagnano le spesse pareti di calcare compatto. La percorriamo in un silenzio quasi mistico e, attraverso una porta a vetri, raggiungiamo la sala di fermentazione, dove enormi fermentini stanno facendo il loro dovere, con la preziosa e rispettosa collaborazione delle più moderne tecnologie.

Tante le tipologie dei vini prodotti, dal Soave Classico e Superiore al Durello Lessini all’ormai storico Equipe5, il Metodo Classico (Chardonnay e Pinot Nero) concepito 50 anni orsono da Leonello Letrari, la cui Riserva arriva fino a 120 mesi di sosta sur lies. Non dimenticando inoltre l’Amarone, essendo la Valpolicella proprio lì, al confine con il territorio di Soave. Una vera corazzata, come si può dedurre, in grado di affrontare qualsiasi mercato internazionale. Un’accogliente sala degustazione – e soprattutto la Sala del Volto, un piccolo ‘tempio del gusto’ in cui vengono conservate rarissime annate storiche – ci fanno pensare che di qui deve essere passata molta gente importante.

Da Rocca Sveva ci spostiamo a San Zeno, in una realtà dal sapore artigianale, quella di Fasoli Gino, gestita dai fratelli Amadio e Natalino: figli del compianto Gino, sono stati tra i primi a scegliere il protocollo biologico, purtroppo anche a causa di seri problemi respiratori, causati probabilmente dall’inalazione di sostanze chimiche utilizzate in zona. Qui i volumi di produzione sono decisamente più contenuti rispetto alla realtà precedente, ma con tante etichette adatte per soddisfare qualsiasi richiesta del mercato. Interessante e degno di nota, senza dubbio, il Metodo Classico Rosé da uve Corvinone, anche se la nostra attenzione è stata attratta fortemente da uno spettacolare campione di botte del Veronese IGT Bianco Pieve Vecchia, apparso a tutti davvero insuperabile per profondità e lunghezza: una grande espressione di Garganega in purezza che regala essenze mielose e di scorza di cedro, fiori gialli di zagara, ginestra, mimosa e camomilla, seguite da spezie non invadenti e assolutamente morbide apportate da un prolungato affinamento in barrique. Un vino senza tempo, dalle enormi potenzialità evolutive.

Dopo la visita alla barriccaia iper-moderna, con l’assaggio di altri campioni di botte (questa volta da uve Merlot, provenienti da due diversi vigneti che danno vita ad altri due IGT, Orgno e Calle), ci dedichiamo alle selezioni monovarietali, chiudendo appunto con il Pinot Nero lasciato in appassimento, l’IGT Veronese Rosso chiamato Sande. Sensazioni uniche, date dalla classica selvaticità del vitigno, corredata da frutta rossa marmellatosa al sapore di lampone, essenze di radici (rabarbaro e corteccia di china), ancora china e cioccolato nel finale. Uno di quei vini che ti spiazzano e che possono piacere o meno, ma che sicuramente si ricordano molto a lungo.

Due realtà proprio so far so good – così vicine, così lontane – in un territorio, quello del Soave, che per nostra fortuna non finisce mai di stupirci.