Finalmente si riparte. Dopo il secondo stop per questo ultramaledetto Covid, l’attività artistica del Teatro del Maggio Musicale Fiorentino è ripartita alla grande. Devo dire che il termine ripartita non è del tutto appropriato, perché il teatro fiorentino non ha mai davvero chiuso i battenti, come hanno fatto altri e ben più rinomati teatri italiani e non, ma per forza di cose la sovrintendenza si è dovuta limitare a produzioni in streaming di opere e concerti, che non sono esattamente la stessa cosa (un po’ come «bere una Tourtel invece che una Guinness», si diceva negli ambienti della palla ovale). 

In questo modo, riprogrammando il più possibile gli spettacoli e tenendo sempre sul chi vive artisti e maestranze, il 26 aprile, giorno della riapertura (parziale e con un pubblico limitato), si è inaugurato il Festival del Maggio Musicale Fiorentino con una splendida edizione dell’Adriana Lecouvreur di Cilea e con una serie di concerti sinfonici. Ma non è della splendida Adriana (mi ripeto, ma era veramente così) che voglio parlare in questo contesto, bensì della speciale Tosca organizzata il 19 Maggio per festeggiare gli 85 anni del maestro Zubin Mehta, direttore onorario a vita del nostro teatro.  

Fin dai primi accordi capisci di assistere a una serata magica, di quelle che ti entrano dentro e ci restano per un pezzo; una di quelle serate che fanno del teatro – e soprattutto dell’opera lirica – il modo più esaltante e bello per vivere un evento memorabile. Sì, proprio me-mo-ra-bi-le, perché sotto la bacchetta del maestro Zubin Mehta avevamo un’orchestra in grande spolvero, un coro che – nonostante le difficoltà imposte dalle esigenze di distanziamento e dalle mascherine – ha reso al meglio e un cast vocale da far invidia a tanti altri osannati teatri. Tutte componenti che, in un’atmosfera molto emozionante, hanno contribuito a realizzare una serata unica.  

Avevo già ascoltato molte volte questo capolavoro pucciniano diretto da Mehta, in diverse edizioni, ma devo dire che questa è stata la rappresentazione più bella: non molto dissimile dalle altre nell’impostazione generale, ha però mostrato un pathos interpretativo, una ricerca meticolosa delle sonorità più nascoste e una partecipazione emotiva che non avevo riscontrato neppure nelle migliori esecuzioni precedenti.

Ho accennato al cast vocale di primissimo ordine, che ha saputo dare la propria impronta personale a ciascun personaggio, attenendosi al contempo all’impostazione del Maestro con grande attenzione. Quello che più si è calato nel ruolo seguendo i dettami di Mehta, soprattutto nei momenti più lirici del primo e del terzo atto, è stato Francesco Meli, apparso in ottima forma: voce ferma, sonora e facile alle smorzature, senza perdere il suo caratteristico colore e senza scadere nel falsetto, mantenendo sempre un timbro molto bello e giovanile. Il suo è un Cavaradossi più innamorato che rivoluzionario, più “amante di Tosca” che “uom sospetto e volterriano”, come lo definisce il Barone Scarpia. Un Cavardossi riflessivo e fragile (fragile, non debole), con un lirismo per certi versi inedito, almeno per i Cavaradossi che ho ascoltato dal vivo: un personaggio tutto suo, che culmina con lo struggente addio alla vita di E lucevan le stelle, cantato e diretto in una simbiosi così palpabile dal duo Meli-Metha che mi ha letteralmente commosso. Non mi era mai successo di avere gli occhi così lucidi al termine della romanza… Ma non credo di essere stato il solo a rimanere colpito dalla splendida esecuzione, perché il pubblico non la finiva mai di applaudire e di richiedere un bis che alla fine è stato concesso, nell’entusiasmo generale.

Tosca era interpretata dalla soprano spagnola Saioa Hernández: voce potente, gran volume, bel colore, acuti sicuri e ottima tecnica sono le caratteristiche che la contraddistinguono e che ha ampiamente dimostrato anche in questa occasione, anche a scapito di un pathos interpretativo non sempre convincente, che si è concentrato soprattutto nella esecuzione della celeberrima romanza del secondo atto Vissi d’arte.

Luca Salsi ha invece disegnato da par suo uno grande Scarpia, molto più incline a rappresentarci l’aspetto feroce e animalesco del personaggio piuttosto che quello di sottile servitore della polizia papalina. «Bramo la preda bramata, perseguo, me ne sazio e via la getto. Dio creò diverse beltà, vini diversi, io vo gustar quanto più posso dell’opra divina»: questo ci dichiara Scarpia all’inizio del secondo atto questa è la linea interpretativa che Salsi ci propone. A me manca un po’ la sottigliezza del «bigotto satiro che affina con le devote pratiche la foia libertina» (così lo descrive Cavaradossi nel primo atto) che avevo riscontrato nelle interpretazioni di altri baritoni, ma il suo è in ogni caso uno Scarpia convincentissimo, che ricalca le orme di grandi Scarpia del passato.

La festa per il compleanno del maestro Mehta non era però finita. Gli applausi trionfali che tutto il pubblico stava rivolgendo a lui e agli interpreti sono stati simpaticamente interrotti dal sovrintendente Alexander Pereira, che è salito sul palco assieme al Sindaco di Firenze Dario Nardella con una grande cesta con 85 peonie, consegnate a Mehta per i suoi 85 anni e per la lunghissima collaborazione con il Maggio Musicale Fiorentino che dura ormai da oltre 50 anni. Dario Nardella poi, a nome della città, ha fatto omaggio al maestro di una lettera autografa del compositore tedesco Johannes Brahms, del quale Mehta eseguirà il ciclo completo dei concerti nei prossimi mesi alla guida dell’orchestra del Maggio. 

È seguito poi un breve filmato che ha ripercorso il cammino fiorentino del festeggiato, prima che l’orchestra del Maggio intonasse il canonico Tanti auguri a te, che il pubblico e i solisti si sono messi a cantare con partecipazione e divertimento. Mi è passato diverse volte per la testa di suggerire al Teatro di inserire questa rappresentazione nella collezione Maggio Live, la collana di CD che raccoglie le esecuzioni storiche eseguite da grandi artisti a Firenze. Esecuzioni come questa, che ha avuto anche una piacevole sorpresa finale: torta al cioccolato (ottima!) e bollicine per tutti.

E le bollicine fanno scattare immediatamente la domanda: che vino abbinare all’ascolto di questa splendida Tosca? Tosca è un’opera per certi versi ruvida e tosta, sia nella storia che negli accordi trasudanti modernità, ma che quando si scioglie nelle sue melodie immortali (su tutte E lucevan le stelle e Vissi d’arte) ti avvolge, ti coinvolge, ti impregna di armonie e di melodie che ti si radicano nella memoria. 

Ci vuole un grande vino rosso, ancora tendente più verso le note dure (acidità e sapidità, piuttosto che tannicità) che morbide, ma che successivamente sappia essere avvolgente e corposo, con un gran finale persistente e su note anche amaricanti, come amaro è il finale, ma sempre piacevoli, come è piacevole la musica del genio lucchese. 

Il Barone Scarpia, che come abbiamo detto adora diverse beltà e anche vini diversi, spedito il povero Mario al patibolo dopo averlo fatto torturare, suggerisce a Tosca «vin di Spagna, un sorso per rincuorarvi». Il primo pensiero sarebbe quindi quello di dare ascolto al suggerimento del cattivone e rivolgersi alle produzioni ispaniche, ma fra i vini che conosco di quella terra non ne ricordo uno che abbia quei picchi di durezza che richiamino il percorso tragico e duro della storia e di parte della musica. Un secondo pensiero – banale e scontato, quindi scartato subito – porterebbe all’uva Tosca, coltivata sul versante nord dell’Appennino Tosco-Emiliano, e per questo detta ‘uva de monte’.

Ma in questo caso, caro il mio perfido barone, trovo più convincente un buon vino toscano (toscanissimo, come Puccini), capace di fornire sia le durezze necessarie sia una morbidezza che rincuori. Un vino con prevalenza di Sangiovese, quindi (che ci posso fare se lo amo come si ama un babbo, magari ormai anziano ma sempre saggio, energico e vitale?), magari associato con un Alicante, vitigno di origine spagnola (per accontentare un pochino il vendicativo Scarpia) ormai radicato da oltre un secolo in Toscana, in una parte ben definita della regione. 

E quale DOCG Toscana consente di associare al Sangiovese un massimo del 15% di Alicante? Non avete certo bisogno che ve lo dica io, vero?