Quella dell’Elba Aleatico Passito (o Aleatico Passito dell’Elba), con i suoi 40 ettari circa, è la più piccola delle DOCG toscane. Le vigne impiantate con questo antichissimo vitigno sono una componente essenziale del paesaggio dell’isola regina dell’Arcipelago Toscano, un luogo magico che è contemporaneamente mare, campagna e montagna. Anche gli Etruschi e i Romani l’avevano scelta proprio per questa sua peculiarità, oltre che per le ricchezze minerarie: ricchezze che oggi non si declinano più con l’estrazione della pirite e del ferro, ma con il turismo, a metà strada fra il popolare e l’elitario.

Intervista con Antonio Arrighi, produttore e Delegato AIS Isola d’Elba

L’indotto vitivinicolo rappresenta oggi una fetta interessante dell’economia elbana e la produzione dell’Aleatico ne è la punta di diamante. Con questo vitigno i viticoltori si cimentano con non poche difficoltà e con risultati ancora altalenanti. Proprio per questo la Delegazione AIS Isola d’Elba si è adoperata per creare un appuntamento annuale (giunto nel 2018 alla settima edizione), onde catalizzare l’interesse dei professionisti e dei winelovers verso i prodotti dei vignaioli isolani. Lo stile dell’Elba Aleatico Passito, pur partendo sempre da un’uva appassita, è piuttosto variegato. Già a partire dalla durata dell’appassimento, infatti, non c’è uniformità tra i produttori, anche se la variabile maggiore si riscontra successivamente, nella procedura enologica, che vede contrapposti il partito di coloro che credono nella sosta soltanto in acciaio – dopo la fermentazione – e quello di coloro che sostengono l’affinamento in legno. Un’altra diversificazione è rappresentata dalla scelta del momento di immissione del vino al consumo: c’è chi crede nell’efficacia dell’immediatezza (espressa da una piena fruttosità, soprattutto di amarena, mirto e mora), chi preferisce aspettare un anno in più e chi sceglie, addirittura, l’estremizzazione di far evolvere questo vino fin oltre i 7 anni. Ma queste plurime declinazioni rispettano e rappresentano tutte – comunque, e a pieno titolo – l’identità del passito rosso elbano.

E veniamo ai 12 vini degustati. Il Silosò 2016 di Arrighi (intervistato sopra) è caratterizzato da pienezza cromatica e da prontezza del fruttato, che si ripropone pieno anche al gusto (130 g/l di residuo zuccherino). Il Lazarus 2016 di Valle di Lazzaro (di Stefano Farkas, un produttore che, dopo un’esperienza nel Chianti Classico, a Panzano, con Villa Cafaggio, si è stabilito all’Elba), vinificato e affinato interamente in acciaio, è veramente gustoso, con sentori di lampone e gelatina di amarena e un riscontro al gusto ancora con estratto di frutti di bosco e balsamicità. L’azienda Cecilia presenta il suo 2017 con la stessa linea di pensiero, cioè gustoso e lungo con i suoi aromi di mirto, mora e gelso nero. Anche Fattoria delle Ripalte ha scelto la via della vinificazione in acciaio con il suo 2014, che però presenta delle sfumature balsamiche e speziate (noce moscata) più marcate, per chiudere con un aroma di arancia amara candita. Il 2016 di Allori si presenta teso nel fruttato di amarena e succoso al gusto.

Di diversa impostazione – più legata all’esaltazione del floreale, ai toni della confettura, a colori più tendenti al granato e su uno stile che denota evoluzione – troviamo allineate altre aziende, come La Galea – con il 2015, che manifesta una percettibile tensione all’impronta calorica – e La Faccenda, con un 2016 ricco di sentori di frutta cotta ed erbe officinali. Anche L’Esilio 2016 di Le Sughere del Montefico risulta essere declinato sul floreale e con un ridotto residuo zuccherino, che lo rende agile. Nettamente dolce alla percezione è invece il 2016 di Tenuta La Chiusa, che, con i suoi profumi di garrigue, china e rabarbaro, sottolinea l’impronta morbida del vino. Il 2016 di Mazzarri ha ancora un colore granato, con nuances confetturate e un buon equilibrio nella sottigliezza di beva, nonostante l’alto residuo zuccherino. Nell’esaltazione dei caratteri evolutivi, un caso a sé è rappresentato da Acquabona, che esce con un 2011 che ha un affinamento misto (6 mesi in acciaio e 30 mesi in botte), che lo rende singolare, fuori dal coro e di grande personalità: i toni sono più evoluti, con sentori di paprika e prugna, una suadente morbidezza e un grande equilibrio in bocca. La chiusura è lunga, con aromi di china calissaia e artemisia. Sempre con il timbro dell’evoluzione promiscua, cioè in acciaio e legno (1 anno), troviamo anche il 2015 di Mola, con colore granato, profumi di frutta rossa e nera, cotta e disidratata, dotato di un sorso caldo e rotondo.

In definitiva, l’Elba Aleatico Passito – in tutte le sue affascinanti declinazioni – conferma sempre più il suo status di perla del Tirreno che va difesa e preservata, attraverso la comunicazione dell’enorme spirito di sacrificio, della caparbietà e della convinzione dei produttori elbani, capaci di regalarci – vendemmia dopo vendemmia – un succo in grado di coniugare e restituire i doni ricevuti dalla solarità del mare, da una terra ricca e da una storia millenaria.