A volte mi capita di aver voglia di perdermi per strada, scegliendo la via più lunga e tortuosa per arrivare alla meta. Mi è successo di recente, in occasione di un invito a Col d’Orcia. Da Montalcino, anziché scendere direttamente verso Sant’Angelo Scalo, ho volontariamente deviato – non avendo premura – per l’altra strada diretta a sud, quasi parallela ma leggermente più orientale, che porta a Castelnuovo dell’Abate e Sant’Antimo

Sant’Antimo è pace e mi piaceva l’idea di regalare una carezza al mio cuore e alla mia anima, per poi riprendere il cammino lungo ‘la via di Sesta‘, come è chiamata la strada bianca che procede a mezza costa a sud di Poggio d’Arna – tra boschi di lecci e vigne, facendomi scoprire angoli nascosti e anche sconosciuti – per poi scendere verso l’Orcia, guardare dal basso l’abitato di Sant’Angelo in Colle e aprirsi sulla vallata, mostrando all’orizzonte il maniero di Argiano e il Castello di Poggio alle Mura, per continuare il percorso a fianco della vecchia ferrovia, fino a Sant’Angelo Scalo.

Pochi chilometri prima del paese, la sede di Col d’Orcia è immersa nel verde, che in questo pomeriggio marzolino è reso più vivo da una particolare luminosità solare. Rimango colpito dal silenzio, che rende l’ambiente surreale e quasi atemporale, con un gatto che mi viene incontro in cerca di attenzioni. Ma l’arrivo del Conte Francesco Marone Cinzano, anticipato dall’abbaiare del suo inseparabile cane lupo, allarma e mette in fuga il felino. Il Conte sorride, mi saluta con la consueta affabilità e, dopo i dovuti convenevoli, ci addentriamo nella sala degustazione.

Sono passati quasi cinquant’anni da quando suo padre, il Conte Alberto, acquisì Col d’Orcia da Stefano Franceschi. Nel primo dopoguerra la tenuta faceva parte della Fattoria Sant’Angelo in Colle, che comprendeva l’intera proprietà dei Franceschi e anche i terreni de Il Poggione, costituendo già negli anni Trenta una delle aziende più grandi di Montalcino, che fu presente già alla prima Mostra Mercato dei Vini Tipici d’Italia del 1933 a Siena.

Dal 1992, dopo la scomparsa del padre, il Conte Francesco ha preso le redini aziendali, definendosi «agricoltore alla ricerca della qualità dei vini», un concetto che ha voluto riassumere nel logo aziendale: le tre colline soprapposte, simbolo di Montalcino e della terra, sono sovrastate da una mano che punta l’indice verso una stella, a simboleggiare la ricerca della luce e della qualità.

L’esperienza e la consapevolezza del Conte si esprimono compiutamente in una sua ricorrente affermazione, alla quale il suo carisma riesce a trasmettere una connotazione di saggezza e credibilità: a Montalcino esiste una formula magica per realizzare vini di alta qualità. Questa formula è riassunta in quattro punti di forza: 1) la scoperta (ormai più che secolare) che il Brunello ha una lunga capacità di evoluzione e serbevolezza; 2) la straordinaria performance del Sangiovese in purezza; 3) i terreni di matrice calcarea, che si confanno perfettamente allo stesso Sangiovese; 4) le famiglie di Montalcino, che hanno investito nella viticoltura e contribuito alla qualità e alla notorietà della denominazione. Per Marone Cinzano il suo Brunello rispecchia pienamente la tradizione, sia in cantina che in tavola, e infatti lui lo definisce vino gastronomico, perché la sua esaltazione sta proprio nell’abbinamento con i piatti della cucina toscana e italiana.

Dal punto di vista agronomico, le scelte di Col d’Orcia hanno col tempo sposato totalmente il biologico e, ad oggi, è infatti la più grande tenuta toscana con questo sistema di conduzione agraria, prevista non solo per la viticoltura, ma anche per olivi, cereali, frutta e apicultura. Il Conte Francesco non manca mai di precisare che i suoi vini sono «fatti a mano», intendendo con questo che ogni bottiglia vede l’intervento diretto dell’uomo, in tutte le sue fasi, dalla cura della vigna ai successivi passaggi fuori e dentro la cantina.

E veniamo ai vini, perché questa visita mi ha consentito anche di degustarne una bella selezione, con una prima scelta di sei etichette che si è poi allargata ad altre tre. 

Sant’Antimo DOC Chardonnay Ghiaie Bianche 2011 – L’inizio è con lo Chardonnay, che mi ha dimostrato di non essere una provocazione, ma piuttosto un’attestazione di come sia poliedrico, dominante e identitario il terroir ilcinese: qui anche i vitigni ‘stranieri’, non appartenenti alla tradizione, trovano un luogo di ben definita espressione qualitativa. Giallo dorato intenso. Burroso, miele, caramella d’orzo, candito d’arancia. Avvolgente all’ingresso in bocca, è poi reso dinamico da una freschezza agrumata inaspettata in un vino di 10 anni, per chiudere con aromi di zeste di limone e pompelmo.

Rosso di Montalcino DOC 2016 – Del Rosso di Montalcino è d’obbligo ricordare che la denominazione è nata da una ardimentosa e feconda sperimentazione di questa azienda, che ne è quindi stata l’ideatrice. Fu Alberto Marone Cinzano a dare l’idea di un secondo vino da appaiare al Brunello, che chiamò Vino rosso scelto dai vigneti di Brunello e che ebbe un grande successo nella ristorazione italiana, come vino della casa. È da questa intuizione che nel 1983 arrivò la DOC. Rubino vivace. Fruttato di ciliegia, floreale di rosa rossa. Fresco, agile, di buona bevibilità, caldo nel centro palato e finale di arancia sanguinella.

Rosso di Montalcino DOC Banditella 2006 – Ancora un Rosso di Montalcino, ma di dieci anni fa e prodotto a ricaduta con uve di un singolo cru atto a Brunello. Anche l’interpretazione enologica è diversa, perché il vino è affinato in barrique e tonneau. Rubino pieno. Tostato, fumé, tabacco, liquirizia, frutto nero fresco, arancio. Gustoso, con tannino integrato che veicola il fruttato in bocca. Cristallizzato nel tempo!

Brunello di Montalcino DOCG 2006 – Ed ecco il primo Brunello, anche questo attraverso un flash-back di 10 anni. Rubino cupo, con riflessi granati. Tostato, con evoluzione in confettura di prugna, cioccolato, mentolato-balsamico. Ingresso in bocca nervoso, con buon vigore tannico che va in crescendo e chiusura ancora balsamico-mentolata e di liquirizia.

Brunello di Montalcino DOCG Riserva Poggio Al Vento 2001 – Ed ecco il top di gamma, il prestigioso Poggio al Vento, il vigneto storico (impianto del 1972) situato sotto Sant’Angelo in Colle, dove il terreno è caratterizzato da un antico fondale marino con ciottoli e calcare. Dal 1982 è vinificato in etichetta separata, ormai forte della sua riconosciuta qualità. Affina 36 mesi in botti grandi. Ancora rubino tendente a un granato pieno. Complesso, dai profumi di scatola di sigari avana, garrigue, balsamico, mora, gelso nero, crème de cassis e fumé. Impatto al sorso potente, con fruttato di arancio e ciliegia; tannini magistrali, con buona integrazione. Finale sapido, con ancora arancia sanguinella e note mentolate anicizzate.

Brunello di Montalcino DOCG Riserva Poggio Al Vento 2013 – Sulla scia dell’apprezzamento per la 2001, il Conte decide di offrirmi anche un assaggio della 2013. Rubino pieno e nuance granata. Sciroppo di ciliegia, amarena, chiodi di garofano e liquirizia. Gustoso, con buona spalla acida che esalta un tannino virile ma di alta fattura e finale agrumato, con una buona balsamicità boschiva.

Brunello di Montalcino DOCG Vigna Nastagio 2015 – In un crescendo edonistico e vinoso, ecco il Nastagio, che proviene da un singolo vigneto e che è frutto di una ricerca sul Sangiovese condotta in collaborazione con l’Università di Firenze per vent’anni e il nome significa ‘nato a nuova vita’. L’affinamento è in tonneau e botte grande, in un connubio tra tradizione e modernità, e la prima annata prodotta è stata la 2012. Rubino di media intensità. Floreale, rosa, fragola, lampone, leggermente speziato. Fresco, con aromi di ciliegia e arancia, snello, con buona bevibilità e finale saporito, ancora con arancia e buona mineralità.

Toscana IGT Cabernet Olmaia 1999 – Passiamo al Cabernet Sauvignon aziendale, coltivato in vigneti dei primi anni ’80 impiantati dal Conte Alberto e affinato 18 mesi in barrique. Ventidue anni portati benissimo. Sorprendente! Cupo, di un impenetrabile rubino. Potente e di nuovo cupo nei profumi, con toni di fruttato scuro, balsamicità, china e liquirizia. Pieno in bocca, di grande struttura, con tannini esemplari, ancora fruttato di mora che percorre il palato e finisce in una balsamicità che si amplifica con pepe nero e piccantezza.

Moscadello di Montalcino Vendemmia Tardiva DOC Pascena 2015 – L’ultimo vino in degustazione è quello che – secondo il Conte – ha reso famoso Montalcino nel XVII secolo e lui lo racconta con un tono di grande affetto, facendo trasparire la sua piemontesità: il Moscato è infatti l’uva delle sue origini e delle storiche fortune della sua famiglia. Per questo ha voluto acquistare questa vigna che era di BanfiPaglierino luminoso e vivace. Aromatico, salvia, melone giallo e pesca. Abboccato, morbido, con una vena di freschezza fruttata e finale di erbe aromatiche.

Che dire? Un sentito «Grazie» al Conte Francesco per l’ospitalità, la gentilezza e l’innato savoir faire. Noblesse oblige, non ci sono dubbi.