Sono venuto a Gussago, piccolo paesino bresciano che domina la campagna franciacortina, nell’azienda Divella, a trovare una ragazza che si chiama Alessandra e che di mestiere fa la vigneronne. Alessandra Divella insegue il suo sogno sui terreni più antichi della zona, a un’altitudine media di circa 400 metri, assecondando 2 ettari di vigneti che poggiano su un terreno povero composto da argille friabili e compattamenti calcarei; produce dalle 6.000 alle 8.000 bottiglie all’anno, rispettando il più possibile l’ambiente che la circonda, a partire dalla vigna e arrivando allo stile fermentativo, legato a un gentile utilizzo di piccole botti che hanno visto passare molti inverni. Mi trovo di fronte a una persona solare, che sprizza energia – fatta di voglia e passione – da ogni poro, che crede nelle sue idee ed è disposta a tutto per portarle avanti. Qualche anno fa, questa ragazza ha preso in affitto due vigne a Gussago e Cellatica e oggi sta pian piano ristrutturando la cantina (che poggia le basi su un’antica costruzione in pietra), in modo che le permetta una perfetta modulazione naturale della temperatura. Sto parlando di un luogo semplice ed essenziale, in cui sento di respirare fascinosità e stilosità, termini apparentemente agli antipodi ma che delineano perfettamente le sfaccettature caratteriali di Alessandra, che la portano a creare vini discreti e allo stesso tempo vivaci e briosi. Passando tra le barriques – in cui si stanno lentamente completando le basi da spumantizzare – lei mi fa sentire le diversità di suoli e legni, accompagnandomi in un viaggio di assaggi complesso e assai istruttivo. I suoi movimenti rapidi e sicuri sono quelli di una veterana e, osservandola, capisco bene quanto sia interiormente attaccata al mondo che è riuscita a creare e alle piccole ‘creature’ che sta facendo crescere: tutte al di fuori delle tradizionali e prestigiose denominazioni di origine che permeano interamente questo territorio, a dimostrazione del grande coraggio e delle idee chiare di questa vigneronne rebelle.
Finita la rassegna delle degustazioni dalle botti, Alessandra posa il ‘ladro’ alzavino e passiamo all’apertura delle bottiglie.
Blanc de Blancs Dosaggio Zero (100% Chardonnay, 30 mesi sui lieviti) – Giallo intenso, con bollicine finissime e non troppo arrembanti, racconta un tema ossidativo inteso come la più pura delle impronte stilistiche a cui Alessandra si ispira. Al naso si apre con toni floreali spiccati, seguiti da erba di campo appena sfalciata; poi i profumi si arricchiscono di note grasse di mango e ananas, quindi i tratti agrumati fanno da ultimo baluardo all’arrivo degli sbuffi ossidativi, sviluppati intorno a mandorla tostata e biscotteria secca. In bocca è sontuoso, ricco di materia e profondità, la bollicina è grassa e delicata e va a lenire la bella impronta acida (propria dei terreni poveri di Gussago), che trascina il sorso fino alla deglutizione. L’aftertaste (come direbbero gli anglosassoni) è minerale, di un salato così arrembante che ricorda l’acqua d’ostrica, fa salivare e allunga lo sviluppo della persistenza aromatica su ritorni marini e lievemente affumicati. Eleganza, nel pieno rispetto del valore dell’uva di partenza.
Ni Nì Dosaggio Zero (50% Chardonnay, 50% Pinot Nero, 48 mesi sui lieviti) – Giallo quasi dorato, profondo e vivido, che mette in risalto delle bollicine soffuse e soavi. Il profilo olfattivo è sfaccettato e irresistibile, fatto di tante note che convivono elegantemente tra loro, dando un’idea di completezza e di comprensione, in cui ogni tratto si adagia sull’altro senza mascherarne le caratteristiche. Il miele di castagno, il marzapane e l’amaretto danno il là al mandarino maturo, che poi vira sulle foglie secche di the, camomilla e ginestra. In bocca torna la tipica impronta di Alessandra, che imposta i vini sulla cremosità del sorso, grazie ad una bollicina finissima e carezzevole. Il sorso ha uno svolgimento che parte più largo e dolce – dono dello Chardonnay – e poi si stringe, animato dalla scaltrezza del Pinot Nero. La persistenza aromatica è affidata a tratti metallici che apportano aromi di mandarino e acqua di mare. Cosciente coesistenza tra due caratteri estremamente diversi.
Blanc de Noirs Dosaggio Zero (100% Pinot Nero, 60 mesi sui lieviti) – Raggiante, fitto e colorato, ricorda immediatamente l’oro antico, quello che sa di valere e resiste al corso dei secoli, con una spuma più impattante rispetto ai vini precedenti. Al naso esprime con facilità i tratti metallici e ferrugginosi del grande Pinot Nero, che si completano di toni agrumati di mandarino e pompelmo; poi torna il concetto dell’antichità, quando affiora il ricordo dei vecchi libri impolverati, che anticipa l’ultimo tratto più rustico, di mandorla secca con la buccia. In bocca è una lama che taglia il cavo orale in senso verticale, con l’acidità che trae clamorosa energia da una bollicina che neanche Alessandra è riuscita a ingentilire. Come i precedenti, chiude su sprazzi salati che governano la persistenza e la bevibilità, rendendo questo Blanc de Noirs accattivante e teso. Mascolino, come il vitigno da cui nasce, furbo, esuberante e affumicato.
Prima dei saluti, Alessandra mi concede un’ultima dose di eccitazione psico-fisica: riprende l’alzavino appoggiato sul tavolo di degustazione e – con aria ammiccante e orgogliosa, direi quasi tronfia – si avvicina a tre barriques che sta portando avanti con una sua versione del metodo Solera. Mi spiega che sono botti che colma durante l’anno, per non sprecare neanche una goccia delle sue vorticose e avvincenti basi spumanti, e che una di esse ha anche subìto un’insolita e involontaria evoluzione con la flor (lo strato di batteri che si forma nella botte scolma e impedisce all’ossigeno di entrare in contatto con il vino) e per qualche minuto mi perdo nell’assaggio di questi ennesimi esercizi sperimentali di stile di una ragazza fortissima, a tratti geniale, che vive d’energia e riesce veramente a trasmetterla all’interno di ogni cosa che tocca.