«Radda in Chianti, vituperio delle genti!» esordisce Roberto Bianchi (vigneron a Val delle Corti e presidente dell’associazione Vignaioli di Radda), facendo sua e reinterpretando l’ingiuriosa invettiva del sommo poeta verso i pisani, per ricordare che anche il piccolo paese (1600 abitanti) del Chianti storico non si è fatto mancare in passato la sua quota di detrattori. Nel ‘300 Radda appariva sicuramente meno rassicurante di adesso: si trattava infatti di un luogo quasi montano, circondato da una fitta coltre boschiva e con un clima rigido, e i raddesi erano considerati persone caparbie e diffidenti, o, come si dice in fiorentino, ‘dure di testa’. Mi piace l’idea che forse proprio grazie a questa fama i viticoltori raddesi siano riusciti a dare al loro Sangiovese quell’aura di autorevolezza e di identità qualitativa di cui gode oggi. 

Siamo a sud-ovest del Monte San Michele (893 metri) e queste colline hanno avuto per anni grosse difficoltà a far maturare le uve, a causa delle altitudini (comprese tra i 400 e i 600 metri) e del conseguente clima freddo (inverni rigidi e frequenti grandinate a fine estate), oltre a un terreno povero di materiale organico, formato principalmente da galestro di macigno e di alberese, che diminuisce la vigoria della pianta e fa maturare i frutti molto lentamente. 

Il successo dei vini di Radda è perciò piuttosto recente, grazie a un alleato come il surriscaldamento globale, che dagli anni ’90 ha portato ad avere maturazioni più omogenee e ripetibili; un cambiamento che è stato assecondato anche dal crescente interesse degli appassionati e della loro evoluzione, che ha portato alla comprensione e all’apprezzamento del gusto teso e scorbutico dei Chianti Classico con bassi PH. Lo spiega Roberto Bianchi: «Ci sono volute molta perseveranza e un tocco di follia per resistere all’interno di un mercato che chiedeva vini pompati e pomposi, ma oggi siamo fieri di essere il punto di riferimento dell’intero movimento del Chianti Classico». 

Parole sagge, cariche di ricordi e di fatica, in cui Roberto riassume il lungo lavoro che ha portato agli sfavillanti risultati odierni. La sua Val delle Corti sorge sotto l’abitato di Radda, lungo la stretta stradina che conduce a Lecchi in Chianti, dove l’esposizione è totalmente rivolta verso est/nord-est. Queste vigne, oggi ricercatissime, fino a qualche anno fa venivano snobbate da molti autorevoli personaggi del mondo enoico, poiché regalavano ai frutti maturazioni difficili, che si traducevano in vini dritti e taglienti, dall’approccio difficile nei loro primi anni di vita. 

La famiglia Bianchi, proveniente da Milano e trapiantata a Radda negli anni ’70, ha compreso molto presto cosa significa il profondo legame di appartenenza con il territorio chiantigiano, fatto di ruralità, scontrosità e tanta passione. Il loro è stato un atto di fede per la convinzione che i grandi risultati si ottengono solamente attraverso la pratica, un po’ démodé, della comprensione. È infatti questo atto di lungimiranza che rende i vignaioli illuminati ben diversi dagli sfruttatori dell’immediato, perché hanno il grande merito di creare vini che provengono dalla seria disamina dell’ambiente circostante e delle sue tradizioni. In pratica si tratta di una forma quasi dimenticata di inestimabile artigianato moderno. È proprio grazie al riconoscimento di questi valori che il padre di Roberto creò la sua azienda vinicola nel 1974, ricostruendo un rudere semi-abbandonato. Fu un atto di coraggio straordinario, dovuto alla sua radicata passione per il territorio raddese, che raggiunse l’apice progettuale con l’imbottigliamento della sua prima annata di Chianti Classico nel 1978. Erano anni molto difficili per il Gallo Nero (lo storico simbolo già usato dalla Lega del Chianti dal 1384), per via della profonda crisi legata alla bassa qualità e al tracollo del prezzo del vino. Anni scuri, che però stimolarono un gruppo di produttori coraggiosi a creare vini che si potessero distinguere nettamente nel confusionario mercato enoico toscano dell’epoca. Tra i tanti, va dato merito a personaggi come Sergio Manetti (creatore dell’icona di Montevertine), Giulio Gambelli (il maestro assaggiatore) e Maurizio Castelli (il guru del Sangiovese) se il Sangiovese di Radda è riuscito a farsi largo con educazione e freschezza, con vini che rappresentano delle pietre miliari del patrimonio enoico nazionale e mondiale. 

La famiglia Bianchi tenne duro e Val delle Corti inseguì questi valori di unicità e  dichiara attinenza al luogo di origine che oggi li stanno ripagando di tutto il loro duro sacrificio. Dal 1999 è Roberto Bianchi a portare avanti il lento lavoro del padre e dalle sue parole si evince chiaramente quanto è convinto della strada da seguire per continuare a tenere alto il nome di Radda in Chianti. 

Servono passione (tanta), vigne vecchie (come la 46enne vigna intorno alla casa), tanta cura agronomica (improntata più sul non fare che sul fare) e un approccio di cantina atto a sottrarre più che ad addizionare. In pratica, per quanto riguarda la vigna, si tratta di lavorare a regime biologico, con l’ausilio di alcuni metodi biodinamici (che in fondo rispecchiano le vecchie tradizioni mezzadre), attuando il sovescio e la lavorazione sotto fila. Per quanto riguarda la cantina, si tratta di effettuare solamente fermentazioni spontanee in acciaio e tini aperti, dove un 10% delle uve rimane con i raspi e viene adottata la tecnica chiamata “piemontesina”, per cui a fine tumultuosa il tino viene ricolmato di vino, intrappolando il cappello all’interno, per protrarre a lungo la macerazione con le bucce. 

Ho fatto un lungo preambolo, è vero, ma era necessario per farvi immedesimare in Roberto Bianchi, perché a mio modesto parere il vino racconta sempre il carattere del suo creatore, che infatti si rivela con magnifiche doti di serenità, precisione e austerità.

La degustazione che segue vede tutti i vini prodotti dall’azienda, dal bianco prodotto per il consumo interno sino a un Chianti Classico 2009 in grandioso stato di forma.

Vino da tavola bianco Il Bianco dei Bianchi 2019 – Prodotto per la prima volta nel 2013 e reiterato ogni volta che Roberto ha voglia di raccogliere le uve di Malvasia, Trebbiano, Chardonnay e Vermentino di alcuni amici, in varie vigne tra i boschi di Radda e Gaiole. Si presenta di un giallo paglierino carico e lucente e mette in mostra profumi polposi di frutta a pasta gialla (susina e pesca noce), limone ed erbe aromatiche. Dopo qualche istante si scalda e fa uscire anche note più estive di melone giallo. In bocca il sorso è dritto, semplice ma di buon impatto aromatico, sviluppato intorno a toni meno maturi di pera e mela verde. Un tocco di muschio fluidifica il finale e lo rende deliziosamente balsamico. Nella faringe si sviluppa con una persistenza che vede interagire una spiccata sapidità con un tenue ricordo del malto d’orzo. Perfetto da aprire all’ora dell’aperitivo o anche in abbinamento al più classico degli appetizers: pane, burro e acciughe.

Vino da tavola rosato Rosé Scuro 2019 – È prodotto dal salasso di tutte le vasche di Sangiovese in fermentazione, dopo una macerazione di 7 giorni ed è nato da una dimenticanza di Roberto, che per errore aspettò una settimana prima di effettuare il salasso e il ritardo donò al vino una riconoscibile colorazione rosa scuro. Profuma di fragolina di bosco, lampone schiacciato e pompelmo rosa. In bocca ribalta l’idea di struttura che dava osservandone il colore, mettendo in mostra uno scorrimento ficcante, rapido e freschissimo. Veramente molto godibile, ideale per l’estate, è perfetto in abbinamento a cibi speziati come il pollo al curry con latte di cocco e riso basmati.

Vino da tavola rosso Lo straniero 2018 – Interpretazione moderna e quotidiana che vede un blend internazionalista composto dal 60% di Sangiovese e dal 40% di Merlot, che vengono fatti fermentare e affinare solamente in acciaio e poi in bottiglia. Si tratta di un vino molto immediato, che già dal colore rubino vivido e gioviale fa intendere le sue caratteristiche di franchezza e serbevolezza. Profuma di mora selvatica del Merlot e di scorza d’arancia del Sangiovese. In bocca esprime un sorso centrale e molto rinfrescante e si struttura intorno alla decisa presenza di acidi fissi, che vengono teneramente ammorbiditi dalla larghezza fruttata apportata dal Merlot. Prorompente e accattivante, chiude con un finale leggero e beverino, perfetto per una spensierata merenda a base di formaggi freschi e focaccia ripiena di mortadella.

Chianti Classico DOCG 2017 – Creato con uve Sangiovese completate con un 5% di Canaiolo, provenienti da vigne tra i 17 e i 20 anni. Fermenta in acciaio, dopodiché il 30% della massa rimane in macerazione con le bucce per ben 4 mesi. Conclude il suo percorso di maturazione in botti grandi (Garbellotto) per 24 mesi. Nel calice splende di un tipico rosso rubino che si lascia attraversare dallo sguardo, al naso presenta profumi più scontrosi del solito (frutto dell’annata calda e torrida), che parlano di susina rossa, giaggiolo, incenso e note verdognole che rimembrano quel poco di raspo rimasto durante la macerazione. Il sorso scalfisce la bocca con la proverbiale freschezza raddese (in barba alla calura dell’annata), che gioca un ruolo fondamentale nell’elevare un tannino meno assorbito del solito. In questo momento la componente tannica sembra un po’ immatura e tende a chiudere anche lo sviluppo aromatico retro-olfattivo. La chiusura è ancora imbrigliata dalle parti dure del vino. Perfetto con un delizioso spezzatino di capriolo.

Chianti Classico Riserva DOCG 2016 – Sangiovese in purezza, proveniente dalla vecchia vigna piantata dal padre di Roberto nel 1974 ed esposta a est/nord-est. Fermenta per 2-3 settimane in acciaio e tonneaux aperti, con follature giornaliere. La maturazione avviene in barriques e tonneaux molto vecchi per circa 24 mesi. La grande annata si denota già dal colore, che rende il Sangiovese ancor più tenue ed elegante. I profumi rimarcano questo leitmotiv raffinato e verticale, che mette in gran mostra la profumatissima violetta del Sangiovese. La spiccata parte floreale viene accompagnata da note di origano fresco, melograno, oli essenziali d’agrume e un soffuso sbuffo di cuoio. In bocca il sorso è sugli scudi, animato dalla verve acida, tronfiamente rappresentata dal sapore di arancia sanguinella. Si tratta di un vino delicatissimo e garbato, che rivela nel finale di bocca tutta la sontuosa vocazione del territorio simil-alpestre di Radda in Chianti. Un Chianti Classico Riserva che interpreta con gioiosa finezza un millesimo ideale per lo slancio aristocratico del Sangiovese. Idilliaco in abbinamento con un coniglio alla cacciatora.

IGT Toscana Extra 2014 – Sangiovese in purezza da uve surmature della vigna vecchia. Fermenta per 2-3 settimane in acciaio e tonneaux aperti, poi matura per 24 mesi in barriques e tonneaux vecchi. Questa interpretazione più estrattiva del Sangiovese raddese vuole essere, secondo Roberto, un omaggio all’essenza forte e longeva del suo territorio. Il suo rubino comincia a deviare verso il granato, ma senza perdere lucentezza e pienezza di pigmenti. Appena il naso entra in contatto con il calice rivela la sua impalcatura ricca e balsamica. Dopo qualche secondo di ossigenazione arriva a lambire le foglie secche di alloro, la ciliegia sotto spirito, l’incenso e un caldo abbraccio speziato di chiodi di garofano e cenere spenta. In bocca palesa una carica inusuale per l’annata fresca e piovosa, infatti si muove con fare morbido e accattivante. Scorre con infinito piacere, raccogliendo tutta la parte aromatica già percepita all’olfatto. Chiude con maestosa eleganza, quasi a richiamare l’idea di un sorso completo, che ha raggiunto una pacificatrice sensazione di souplesse. Da gustare fuori dal pasto o al fianco di un peposo dell’Impruneta.

Chianti Classico DOCG 2009 – Terminiamo con un graditissimo regalo di Roberto, che ci fa comprendere il tenore qualitativo dei suoi vini. È affascinante degustare un’annata mediamente calda come la 2009, che in questo momento storico sta esprimendo dei vini a base Sangiovese dotati di incommensurabile piacevolezza e lunghezza gustativa. Il colore si presenta con un rosso che tende al granato di splendida lucentezza, segno di una salda vitalità. Al naso si apre lentamente, l’incipit va verso la forte terziarizzazione di sottobosco autunnale: foglia umida, terriccio, foglia di tabacco e garrigue. Passato qualche minuto di contatto ossidativo, si fa più giovane e pimpante, ricordando sentori di canfora, arancia candita, coulis di lamponi e violette essicate. In bocca rappresenta l’esemplificazione del sorso esile, guidato da un unico binario: l’acidità, che pizzica lievemente il centro della lingua e permette uno scorrimento affabile e rapidissimo. Riassaggiandolo, in maniera un po’ compulsiva, mi accorgo che il vino interagisce con me, recitando un mantra da ripetere all’infinito: «Arancia, arancia, arancia!». Un vino strepitoso, simbolo di tutto il lento processo che ha portato al successo i taglienti vini di Radda. Da abbinare con un borghese petto di piccione, purè al tartufo e fondo bruno.

Cosa mi rimane da questa gioiosa visita a Val delle Corti? La certezza che il segreto del successo del Chianti Classico di Radda è al sicuro. Qual è questo segreto? Semplice: l’applicazione di valori fondanti come l’appartenenza, l’osservazione e, soprattutto, la perseveranza. No, forse non è così semplice.