Come in tutti i paesi produttori di vino evoluti, anche in Sudafrica esiste un’ampia rete di strade del vino e un numero elevato di cantine (wineries) aperte alle visite, dove è possibile degustare i loro vini pagando una modesta cifra; anzi, molte wineries sono organizzatissime per l’accoglienza, con sale degustazioni ampie e ordinate, ristoranti, bed & breakfast e addirittura hotel: c’è solo l’imbarazzo della scelta. Nel mio viaggio avevo riservato un paio di giornate per visitare alcune cantine a Stellenbosch, una fra le zone più rinomate e conosciute. Come ho scelto le wineries da visitare? Come i lettori del Salotto del Vino sanno, da quasi un decennio faccio parte delle giurie di valutazione del prestigioso Concours Mondial de Bruxelles (CMB), nel corso del quale ho avuto modo di valutare vini provenienti da moltissime zone di produzione, ma mai vini sudafricani, per cui ho scelto di visitare due cantine che hanno ottenuto numerosi premi all’ultimo CMB, per vedere se il mio giudizio corrispondeva a quello entusiastico dei miei colleghi. Nessun controllo sul lavoro altrui, per carità: ho soltanto preso il loro lavoro come guida per degustare i vini – medagliati e non – delle aziende premiate. Ma prima, sulla strada per Stellenbosch, mi sono fermato a fare visita a una winery non prevista, raccomandata da un’amica enologa toscana che stimo moltissimo, e ne è valsa veramente la pena.
La prima tappa è stata quindi alla Hamilton Russell Vineyards, che si trova nella Hemel-en-Aarde Valley (in inglese, Heaven and Earth Valley, cioè Valle del Paradiso e della Terra), a pochi chilometri dal centro di Hermanus, città sull’oceano famosa per il whale watching. Già all’ingresso della proprietà noto qualcosa di molto familiare… I cipressi ai lati delle piccole strade sterrate che circondano i vigneti sono una delle caratteristiche inconfondibili della mia terra e trovarmeli davanti così lontano da casa mi sorprende e mi riempie di orgoglio. Ne parlo con il proprietario – Mr. Anthony Hamilton Russell, una persona squisita, appassionata e competente – che mi racconta che sì, suo figlio ha vissuto in Toscana e ha voluto riproporre qui qualcosa che la ricordasse, sia con i cipressi che con la splendida villa padronale che si vede al di sopra della cantina e del cottage delle degustazioni, circondata da vigneti e oliveti e con uno splendido portico.
La HRV è una tenuta vastissima – fondata nel 1975 dal padre di Anthony, vero e proprio pioniere della produzione vinicola della valle – ed è suddivisa in tre parti: Ashbourne (uve Pinotage, Cinsault e Sauvignon Blanc), Southern Right (uve Pinotage e Sauvignon Blanc) e la vera e propria Hamilton Russell Vineyards, la meno giovane e più famosa delle tre.
L’ambiente dedicato alle degustazioni è un piccolo cottage più che accogliente vicino alla cantina, con una sala interna e un ampio spazio esterno. Abbiamo degustato due vini.
Hamilton Russell Vineyards Chardonnay 2017 – Le vigne sono impiantate su un terreno a bassa vigoria (sassoso, ricco di argille e derivati di argille). Il vino fermenta per il 90% in barrique francesi, il 5% in acciaio, il 4% in botti grandi e l’1% in ceramica, prima di maturare per 9 mesi in barrique francesi (228 litri) di primo, secondo, terzo e (in minima parte) quarto passaggio. Se ne producono 71.500 bottiglie. Ha un brillante colore giallo paglierino e al naso è elegante, intenso, franco (si riconosce subito lo Chardonnay) e straordinariamente fine e complesso; vi si riconoscono agrumi (lime), pera, ananas, un floreale tipico dei giardini locali e una tostatura non invasiva, che mi ha fatto tornare alla mente una frase che il grande enologo Giacomo Tachis amava ripetere sui vini passati in barrique: «Il miglior vino passato in barrique è proprio quello che non sa di barrique». In questo caso è proprio così, perché l’uso del legno conferisce a questo Chardonnay struttura e complessità, senza prevaricarne i sentori primari. In bocca le piacevoli sensazioni provate al naso si esaltano: l’ingresso è largo e ricco e tutto il cavo orale viene piacevolmente invaso. La struttura si manifesta in maniera più elegante che al naso, in un insieme di calore, morbidezza, acidità vivida e naturale, con un finale minerale di lunga persistenza, un buon equilibrio e una straordinaria armonia, che fanno venir voglia di un altro bicchiere. Senza dubbio, è fra i migliori Chardonnay che ho mai assaggiato in vita mia, con un’ultima sorpresa: i profumi che scaturiscono dal bicchiere vuoto, al coup de nez dopo 10’ circa dall’ultimo assaggio, regalano un piacevole sentore di pera cotta e cannella, senza alcun segno di deterioramento. Voto: 98/100.
Ashbourne Pinotage 2015 – Il Pinotage – un vitigno autoctono del Sudafrica creato da Abraham Izak Perold, dell’Università di Stellenbosch, incrociando il Pinot Nero con il Cinsault (il cui nome sudafricano è Hermitage) – occupa il 5% dei vigneti sudafricani ed è considerato ‘il più autoctono’ dei vitigni sudafricani. I vigneti hanno lo stesso suolo dello Chardonnay e il vino svolge la fermentazione in acciaio e la malolattica in legno, per poi maturare per 10 mesi in tonneaux da 400 litri e per 4 mesi e mezzo in botti da 2.000 litri di rovere francese (40% nuove e 60% del secondo anno). La produzione è di appena 3.000 bottiglie. Lo dico subito: è il primo Pinotage che ho assaggiato in vita mia e mi ha fatto una grande impressione. Un brillante rosso rubino carico e scuro e un gran numero di archetti sul bicchiere annunciano una struttura importante, che si conferma già al naso, in cui si mostra intenso, fine, complesso, con riconoscimenti erbacei e floreali (sentori di piante e fiori dei giardini sudafricani) e poi fragola, mirtillo, cacao, caffè e tabacco. La bocca conferma le sensazioni del naso, anzi le esalta. Ingresso largo e potente, ricco, con calore e morbidezza perfettamente bilanciati da acidità e sapidità, accompagnati da tannini nobili e dolci, con ottima persistenza finale di confettura di frutti rossi e mineralità e un ritorno di acidità per preparare un nuovo assaggio (devo però dire che lo Chardonnay era più lungo). È un vino elegante e passionale insieme, un vero fiore all’occhiello del produttore, uno dei pionieri della rinascita e della valorizzazione del Pinotage, che tante storie e tante emozioni ha da raccontare e con il quale è stato piacevole passare un po’ di tempo dopo la degustazione, mentre nel bicchiere sentivo ancora vivi – e perennemente eleganti – profumi di tabacco e confettura di fragole. Voto: 97/100, a crescere…
Hamilton Russell Vineyards Olive Oil 2018 – Il gentilissimo titolare ci ha fatto dono di una bottiglia di Olio Extra Vergine di Oliva prodotto in azienda, che ho assaggiato soltanto dopo essere rientrato in Italia. Come per il vino, anche per l’olio Hamilton Russell è da considerare un pioniere, essendo stato il primo a produrre Olio Extra Vergine di Oliva nella Hemel-en-Aarde Valley fin dal 1993. Possiede 3.040 piante, con un mix varietale in cui prevalgono Leccino sudafricano e Frantoio, oltre a varietà locali. I terreni di produzione sono vari (sassosi e ricchi di argilla e arenarie quarzose). È un prodotto molto curato, che – sia per le cultivar che per i sapori – ricorda fortemente l’olio toscano. Il naso rivela un forte fruttato, verde, netto e pulito, mentre in bocca i sapori di cardo si impreziosiscono di nuances dolci e minerali e di un piacevolissimo ‘pizzichino’ finale. Voto: 7,5/10.
(http://www.hamiltonrussellvineyards.com/)