Per festeggiare i 50 anni dal suo debutto fiorentino, il Maestro Riccardo Muti ha diretto in forma di concerto l’opera lirica Macbeth, di Giuseppe Verdi, al Teatro dell’Opera di Firenze, l’11 e il 13 luglio scorsi. Verdi compose il Macbeth (la sua decima opera) su libretto di Francesco Maria Piave, rivisto successivamente da Andrea Maffei e tratto dall’omonima tragedia shakespeariana. La prima rappresentazione fu data proprio a Firenze, il 14 marzo 1847, al Teatro della Pergola. Successivamente Verdi, per presentare l’opera a Parigi, riprese in mano la partitura originale aggiungendovi alcune pagine, fra le quali gli immancabili ballabili (obbligatori nella Parigi dell’epoca), e togliendone o modificandone altre. La nuova versione andò in scena il 19 aprile del 1965 al Théâtre Lyrique di Parigi e, con versi tradotti in italiano, al Teatro alla Scala di Milano nel 1874: quest’ultima versione è senz’altro la più rappresentata ed è quella scelta dal Maestro Muti per queste esecuzioni.

Chi meglio del Maestro Muti – che ha diretto il Macbeth verdiano moltissime volte e che lo eseguì per per la prima volta proprio a Firenze nel 1975 – può descriverne le atmosfere e il significato? Riporto di seguito alcune delle considerazioni in proposito che il Maestro ha fatto in una lunga intervista – rilasciata nel 2011 ad Antonio Gnoli e pubblicata su La Repubblica – in occasione delle rappresentazioni al Teatro dell’Opera di Roma (intervista ancora reperibile online, per coloro che volessero approfondire l’argomento, all’indirizzo http://roma.repubblica.it/cronaca/2011/11/27/news/riccardo_muti_cos_macbeth_racconta_il_potere_della_coppia-25681075/).

«Le parole di Shakespeare e la musica che Verdi ha composto mi fanno essere grato a questi due geni dell’arte… Nel Macbeth c’è soprattutto la voluttà del soglio, dello scettro, il potere: grande tema, eterno quanto l’uomo, che scorgiamo nella doppia immagine di Lady Macbeth e del suo consorte. Ma con questa accortezza: nell’opera di Verdi tutto è nelle mani, e nelle intenzioni, della Lady, che ha in pugno Macbeth. Lei lo sovrasta, fino a trattarlo come un fanciullo vanitoso e debole… A Verdi è sufficiente una piccola ma grandiosa arcata musicale per delineare, fin dall’inizio, i tratti di Macbeth e Banquo, e lo fa con un avvio circolare, poche battute bastano per intendere la raffinatezza dell’inseguirsi delle note, come fossero dentro un cerchio. E non è un caso che usi questo tipo di struttura musicale perché, ogni volta che si interessa al fato, Verdi ricorre a un tema di questo genere… Le streghe – quelle che incontrano Macbeth all’inizio – agiscono dentro una sorta di cerchio magico. E noi percepiamo in quello spazio virtuale sia la discesa all’inferno che la risalita al cielo… All’inizio, infatti, Verdi introduce l’oboe, il clarinetto e il fagotto. Mescola i loro suoni dandoci la sensazione di ascoltare un’orrenda cornamusa scozzese… Lady Macbeth e il marito sono due giganti. Lei spicca come il male che si effonde ovunque. Rappresenta la voluttà e la brama del potere. Dice, rivolta a Macbeth “Al fin sei mio” e Verdi sottolinea mio, quasi a suggerirci un fatto erotico. Viene da pensare allo scettro come simbolo fallico. La Lady domina Macbeth, domina sul guerriero che è grande in battaglia, ma miserabile nei suoi sogni, nelle sue decisioni. Negli anni ho realizzato molte edizioni del Macbeth e, ogni volta che torno su quest’opera, mi rendo conto che non si finisce mai di scavare nei suoi personaggi».

Definire le serate fiorentine memorabili è quasi svilirne la portata del risultato artistico e del grande successo che queste rappresentazioni hanno entrambe ottenuto. Un trionfo dall’inizio alla fine, dall’ovazione che ha accolto il Maestro al suo ingresso in sala alla standing ovation finale, che sembrava non diminuire mai d’intensità, fino a quando il Maestro non l’ha interrotta col suo accorato appello per riportare le spoglie del compositore fiorentino Luigi Cherubini – ora quasi dimenticate nel cimitero parigino di Père Lachaise – nella sua giusta collocazione. Nella splendida tomba a lui dedicata fra ‘l’urne dei forti’, nella Basilica di Santa Croce.

L’appello del Maestro per riportare a Firenze le spoglie di Luigi Cherubini

L’esecuzione in forma di concerto non toglie niente al senso di Teatro (con la T maiuscola) e, fin dalle prime note del preludio, la direzione del Maestro non lascia un attimo di tregua e sottolinea ineguagliabilmente ogni nota della partitura, ogni accento, ogni parola del libretto; anche le più piccole sfaccettature dinamiche che la musica verdiana propone vengono evidenziate in una crescente tensione, che culmina nei concertati finali degli atti e nel finale dell’opera, dove vere valanghe di suono ti lasciano lì, basito ed incredulo per quello che hai sentito.

Motivati dal ritorno del Maestro Muti – e coinvolti da lui in una lettura piena di mille sfumature, di mille colori – i professori dell’orchestra del Maggio Musicale Fiorentino danno il meglio di sé, raggiungendo vette che non udivo da anni, tanto che, a un certo punto dei bellissimi ballabili lo stesso Muti si è fermato per qualche secondo lasciandoli andare da soli, tanta era la loro concentrazione e la tensione artistica che lo stesso era riuscito a infondere in loro. Anche gli artisti del Coro hanno offerto una prestazione di altissimo livello, che il Maestro ha voluto sottolineare la prima sera, chiedendo esplicitamente al pubblico un applauso per sottolineare la loro prestazione. 

Nel ruolo del protagonista, il baritono Luca Salsi ha offerto una prova maiuscola, calandosi nella difficile parte del protagonista con bella voce e soprattutto con gli accenti giusti al posto giusto: un grande Macbeth; buona anche la prova della soprano coreana Vittoria Yeo: bella e potente voce, mai una nota fuori posto, segue con grande attenzione tutte le indicazioni del Maestro Muti e disegna una Lady impeccabile dal punto di vista vocale, anche se non del tutto convincente nello scavo drammatico del personaggio; il tenore Francesco Meli è stato un Macduff emozionante e da manuale, specie nella celebre aria ‘ah la paterna mano’, cantata con un pathos e una partecipazione da grandissimo interprete; il basso Riccardo Zanellato è stato infine un Banquo di tutto rispetto.

Il cast al completo riceve i ringraziamenti e la standing ovation

Un colore da abbinare al Macbeth? Rosso, come il sangue, la passione e la sete di potere, che zampillano in questo capolavoro verdiano: un rosso scuro, tenebroso, impenetrabile. Ecco, il vino che abbinerei inusualmente all’ascolto del Macbeth in generale, e di questo Macbeth in particolare, è proprio un rosso di colore scuro, brillante e consistente nel bicchiere, impenetrabile, quasi nero, un vino ‘da masticare’, fresco, sapido e tannico (ma i tannini devono essere morbidi e nobili), in cui le componenti dure (affini alla sete di potere e alla feroce determinazione della Lady e del suo succube consorte)  prevalgono ancora su quelle morbide (affini ai personaggi positivi di Macduff e di Banquo). Un vino giovane, quindi, ma pronto, la cui degustazione sia già soddisfacente, anche se l’equilibrio arriverà solo con la maturazione, fino a raggiungere grande armonia, che si abbinerà perfettamente al ricordo di questa memorabile esecuzione e al riascolto delle altre edizioni che il Maestro Muti ha consegnato alla storia. Un’armonia paragonabile al concertato finale aggiunto da Verdi nella versione del 1865 (‘Macbeth Macbeth ov’è, ov’è l’usurpator’), con Macbeth abbandonato al suo destino, morto fuori dalla scena. Sceglierei un vino toscano d’impronta internazionale, come un Cortona DOC Syrah o un Suvereto DOCG Merlot.