Con il 2019 se ne va un anno ricco di assaggi, nuove esperienze e nuove conoscenze, che mi hanno aiutato a scoprire quante cose si possono ritrovare in un calice, quando si studia con passione per amare il vino con coscienza e preparazione. È eccitante scoprire che, una volta che ci sei entrato in sintonia, il vino è un amante che dà e non chiede altro che essere capito e trattato con rispetto, che è capace di farti venire la pelle d’oca e perfino di commuoverti, a volte rievocando ricordi nascosti e facendo esplodere una carica di emozioni. Ed è per questo che voglio condividere con voi quella che per me è stata la più intensa, toccante e indimenticabile emozione enologica del 2019, grazie a un assaggio davvero divino.

Sto parlando del Pauillac Grand Vin de Château Latour Premier Grand Cru Classé 2005, figlio di un’annata pazzesca (soprattutto per il Cabernet Sauvignon, preponderante rispetto a Merlot e Petit Verdot, che fanno da complementari, dando volume all’insieme) e di una selezione dei grappoli particolarmente maniacale. Ha un nome che potrebbe descrivere da solo la sua maestosità e la sua signorilità e io – che ho avuto la fortuna di incontrarlo e di averlo considerato da subito come uno straordinario compagno di viaggio – non posso esimermi dal raccontare le gioiose sensazioni procuratemi da un vino così antropomorfico.

Già alla vista, questo nettare lascia presagire un’esperienza più unica che rara. Mi sembra quasi di sfiorare con la mano quella terra sulla sponda sinistra della Gironda rivestita di ciottoli – sovrastanti il calcare, l’argilla e la sabbia – da cui proviene: Pauillac, nel cuore dell’Haut Médoc. Il vino ha una veste color rubino, che vira verso il granato e lascia spazio a una spiccata lucentezza, con un corpo atletico e definito.

Al primo impatto al naso è piuttosto ermetico e si lascia soltanto corteggiare: solo con pazienza, lasciando passare i minuti necessari, inizia a esprimersi. Emergono allora con classe e con elegante riservatezza profumi suadenti di legno di cedro, ulivo, una speziatura delicata e non invadente di pepe rosa, una nota floreale di violetta e un tocco di radice che ricorda il ravanello. L’avvolgenza dei frutti scuri (prugne nere, amarene e more) non manca e la cremosità trova il suo equilibrio grazie alla freschezza e all’esuberante mineralità, che ricorda la grafite. Un vino decisamente complesso, e non poteva essere altrimenti.

Poi, finalmente, arriva il tanto atteso sorso, che va oltre la coerenza con l’olfatto: ampio, ha una trama tannica vellutata e piacevolissima, un calore vibrante e leggiadro che si armonizza con l’acidità dinamica (che rievoca il succo d’arancia rossa e i lamponi) e con la sottile sapidità, in un equilibrio assoluto, che invoglia in maniera eccitante a un nuovo sorso, e poi a un altro ancora. Ha ancora tanta strada davanti a sé, ovviamente, ma è già di una bevibilità disarmante, raffinato e deciso al tempo stesso.

Un vino tanto autorevole quanto elegante, che aggiunge anche una notevole persistenza alle sue componenti migliori, in un complesso straordinario di gusti. Accarezza il cuore e nulla appare fuori posto: un vino dell’anima.