Dicono che Firenze sia la porta – guardando verso sud, in direzione Siena – per la via dei grandi vini, dal Chianti Classico ai tanti Supertuscan, dal Nobile al Brunello. Vero. Ma solo in parte. Perché basta ruotare di pochi gradi lo sguardo, puntando a est, e nel giro di pochissimi chilometri, tempo un batter di ciglia, dalla città gigliata ci si ritrova in un altro angolo di grande eccellenza enologica. Non serve andare molto lontano. Arrivati a Pontassieve (là dove il torrente Sieve, ormai cresciuto, confluisce nell’Arno), si entra – risalendo proprio l’affluente,  tra verdi vallate, a volte strette e ripide – in quel mondo che nei disciplinari chiamano la DOCG del Chianti Rùfina: un areale relativamente piccolo, in cui è raccolta questa estrema e atipica sottozona settentrionale del Chianti. È sempre un piacere, per me, parlare o scrivere di questo angolo di mondo e dei suoi vini, perché me ne sono innamorato quasi subito (in tempi ormai piuttosto lontani, appena trasferito a Firenze), avendo constatato – più che in molti altri vini – non solo l’indiscutibile qualità dei Rùfina, ma pure lo spirito concretamente e sinceramente appassionato dei suoi produttori.

Il Chianti Rùfina ha un microuniverso unico, i cui terreni argillosi si mescolano al galestro e all’alberese, con tanta ventilazione, fitti pendii che si inerpicano fino a oltre 600 metri, drenaggi naturali, sensibili escursioni termiche (sia giornaliere che annuali) e una luminosità elevata e tersa, quasi montana. Tutti fattori di qualità in vigna, capaci di valorizzare vitigni come il Sangiovese, che – avendo come suo pregio (e limite) quello di rispecchiare fedelmente il territorio in cui è coltivato – proprio in queste valli sembra aver trovato una delle sue migliori dimore: e quando il Sangiovese incontra un ambiente ideale e una mano dell’uomo sapiente, allora la storia cambia e il confronto con gli altri può essere imbarazzante. Per gli altri, intendo. Del resto, lo aveva già capito anche Cosimo III, che nel suo bando del 1716, delineando i migliori quattro areali ampelografici del Granducato, incluse anche questo territorio, tra l’odierna Pontassieve e Pomino.

Tra le realtà produttive della zona, merita un doveroso plauso la fattoria di Grignano, un’azienda di 600 ettari di bosco, oliveti e vigne, con queste ultime (circa 50 ettari) racchiuse in varie parcelle a 350/400 metri su crinali di argille e rocce di alberese. Definire Grignano col termine ‘fattoria’ appare riduttivo, allorchè si varca il cancello e ci si trova di fronte a una villa rinascimentale di illustre lignaggio e di assoluta bellezza, a testimonianza di un’eredità nobiliare che affonda le proprie radici al tempo dei Guelfi e dei Ghibellini, quando qui sorgeva il Castello di Vico e le terre appartenevano alla famiglia Guidi, per poi passare nei secoli successivi ai Medici (al cui ingegno si deve la realizzazione del bel corpo centrale) e quindi ai Gondi, fino all’attuale proprietà, con la famiglia Inghirami. Oggi Grignano è rappresentata dal talentuoso Tommaso, che da poco meno di due anni ne tiene saldamente le redini, trasfondendo nei frutti aziendali tutta la propria personale passione, una comprovata capacità imprenditoriale e un’altrettanto illuminata visione del futuro.

Come azienda produttrice di vino, Grignano nasce con la primissima metà degli anni Settanta del secolo scorso. Affidandosi a un (all’epoca) giovane enologo di nome Franco Bernabei (destinato a diventare ben presto famoso e uno dei maggiori consulenti del Chianti Rùfina), l’azienda si struttura puntando sulla valorizzazione del territorio e dei suoi vitigni autoctoni, anche attraverso un sapiente uso dei legni di affinamento. Con gli anni Duemila – complici i nuovi gusti del mercato e, in particolar modo, le mutazioni internazionali – Grignano, come altri, strizza l’occhio ai nuovi palati emergenti. Sotto la guida enologica di Barbara Tamburini, il Sangiovese viene tagliato con piccole percentuali di altri e più morbidi vitigni di impronta francese, accelerando anche l’utilizzo di legni piccoli (sempre francesi) per stemperarne le durezze e ammansire, forse anche un po’ oltre misura, i tratti acidi e tannici del Sangiovese di altura.

Ma dal 2015 si decide di cambiare passo e si torna a guardare alla tradizione, con l’arrivo in azienda di un nuovo enologo (Stefano Chioccioli) e, dopo qualche tempo, proprio di Tommaso. Si elaborano piani di sviluppo, con lo studio di zonazioni anche in aree più alte, finanche a quota 500 metri, alla ricerca di maggiori escursioni termiche. Si punta da subito sulla differenziazione clonale, sulla sperimentazione e sulla creazione di nuovi vini con nuove etichette e, nell’ambito della DOCG, sulla valorizzazione della personalità dei vini da Sangiovese, tornando ad affiancargli i tradizionali vitigni complementari al fine di esaltarne l’acidità. Scendendo in cantina, si fa ricorso alle antiche (e già esistenti) vasche di cemento per la malolattica, ai legni grandi per l’affinamento, mantenendo solo in via residuale, in attesa di uno spontaneo esaurimento, le barriques, ovviamente mai di primo passaggio. Riemergono così il tratto fresco del Sangiovese, i suoi tipici profumi, quella gustosità – a volte tesa e quasi ‘pinotteggiante’ – di un vino che torna ad essere unico e inimitabile. Una sorta di lontano cugino di certi Chianti ‘Raddiani’ o di certi Pinot borgogneggianti, per la gioia dei loro appassionati ma anche di chi cerca nel vino i tratti beverini e una dinamica piacevolezza.

E ora passiamo alla degustazione di 4 Chianti Rùfina Riserva: partendo dal Cardinal Enrico 2015, si arriva a una stupenda quanto rara verticale di tre annate (2015, 2011 e 2001) della celeberrima Poggio Gualtieri. Verticale che si fa essa stessa storia, essendo portavoce dei tre momenti chiave del cammino recente, illustrato poc’anzi, della Fattoria di Grignano.

Chianti Rufina Riserva DOCG Cardinal Enrico 2015 (90% Sangiovese, 10% complementari di tradizione, come il Colorino) – Rosso rubino pieno e vivace. Attacco fruttato e floreale, con note di turgide ciliegie e lamponi, viole e rose fresche, con uno sfondo di erbe aromatiche, pepe e sbuffi balsamici. In bocca entra e scorre fresco, con un tannino che si fa complemento, senza essere mai invasivo. Piacevole e con ritorni agrumati in deglutizione, lascia nel palato una buona salivazione, quasi a voler invitare a un nuovo sorso.

Chianti Rufina Riserva DOCG Poggio Gualtieri 2015 (90% Sangiovese, 10% complementari di tradizione, come il Colorino) – Manto rubino di buona trasparenza e luminosa lucentezza. Impatto olfattivo intenso, ma lento nello svelarsi. A un iniziale sbuffo carnaceo, che subito svanisce, seguono pian piano le note di marasca, ribes rosso e frutti rossi croccanti. Un diadema delicato di petali di rosa e violette si mescola e si confonde con quelli aromatici di mirto e rosmarino. Finale ematico. In bocca entra secco, con un tannino seppur non graffiante, ancora vigoroso e in via di amalgama, coadiuvato da una gustosa sapidità. Corposo e pieno, si congeda in una sottile scia balsamica, palesando una giovinezza destinata a spostare in avanti le lancette del tempo.

Chianti Rufina Riserva DOCG Poggio Gualtieri 2011 (90% Sangiovese, 10% Merlot) – Manto rosso granato denso e vivido. Quadro olfattivo dominato da note speziate dolci, dalla cannella alla noce moscata, con cenni di semi di anice, pepe bianco e tocchi mentolati. Più arretrati i frutti rossi e la mora di gelso in gelée. Ingresso riccamente morbido, con tannini dolci completamente ammansiti e bilanciati da una freschezza di pari grado, mentre un refolo alquanto alcolico finisce per scaldare palato e gola, spegnendosi in un finale pseudocalorico di raggiunta maturità.

Chianti Rufina Riserva DOCG Poggio Gualtieri 2001 (100% Sangiovese) – Rosso granato di buona trasparenza e spettacolare luminosità. Intenso e caleidoscopico al naso, in cui note resinose e di liquirizia contornano quelle dei frutti di bosco, tamarindo e mirtilli in confettura. Seguono profumi di fiori essiccati e poi di lavanda, rabarbaro e bacche di ginepro. Chiusura minerale, quasi ferrosa. In bocca la tensione fresco-salina sorprende e sconfessa in toto quello che solo l’anagrafe certifica. Tonico nel corpo e dall’equilibrio perfetto, emoziona i sensi con una interminabile persistenza aromatica.