Mi è sempre rimasto un po’ difficile capire lo Sherry in tutte le sue sfaccettature, come lo si produce e come lo si classifica. Ho capito però che o lo si ama – e lo si apprezza – oppure è meglio bere altro. Fortunatamente, sono riuscita ad amarlo.
È stato – insieme a Porto, Madeira e Marsala – uno dei portabandiera dell’Inghilterra nell’800, che lo esportava direttamente dalla Spagna. Infatti molti britannici, vista la mole di affari che giravano intorno al prezioso nettare, si stabilirono direttamente in Andalusia, per aprire nuove e fiorenti aziende (bodegas). Molte leggende aleggiano intorno a questa bevanda. Ad esempio, quella dei ratones bodeguros (i ratti delle bodegas), che, mangiando gli insetti che infestano le botti, proteggono il pregiato vino e che per questo – come una sorta di ricompensa per questa collaborazione uomo-ratto – ricevono un bicchierino del dolce nettare. Oppure quella della canaglia al servizio dell’Inghilterra che riesce a mettere a segno il colpo del secolo (a metà del ‘500), affondando la flotta spagnola di stanza a Cadice e rubando 2900 barili del prezioso vino.
Ma vediamo come nasce, questo prezioso vino. Lo Sherry (o Jerez, alla spagnola) è un vino liquoroso che viene prodotto in Andalusia, in un triangolo di città che comprende Jerez de la Frontera, El Puerto de Santa María e Sanlúcar de Barrameda. Qui il suolo (in particolare a Jerez) è composto da marne calcaree denominate albarizas (terreno simile a quello che c’è in Champagne), che danno una marcia in più alle uve coltivate e ammesse nel disciplinare: Palomino, Pedro Ximénez (PX) e Moscatel, che risentono anche dell’influsso dell’Oceano Atlantico. Queste uve, se vinificate da sole, non darebbero certo un vino tanto magnifico, dato che è il sistema d’invecchiamento a dargli la tipica complessità organolettica.
Dopo la vinificazione, il produttore decide a quale linea di produzione destinare il vino: Fino oppure Oloroso. Si procede quindi alla fortificazione – cioè all’aggiunta di un distillato di vino (solitamente brandy) – per far arrivare il titolo alcolometrico al 15% (per i Fino) o al 18% (per gli Oloroso). I vini vengono trasferiti in botti, che non vengono colmate del tutto, ed è qui che la magia ha inizio. Solo sui Fino si formerà uno spesso strato composto da lieviti (la flor), che proteggerà dall’ossidazione il liquido sottostante. Nella classificazione dei Fino troviamo anche i Manzanilla – che vengono prodotti solo a Sanlúcar de Barrameda con lo stesso processo – e gli Amontillado, che saranno poi ulteriormente fortificati e maturati. Un’eccezione che sta in mezzo alle due tipologie è il Palo Cortado, che viene inizialmente prodotto come un Fino, ma che svilupperà in seguito caratteristiche e struttura simili a un Oloroso.
Nella famiglia degli Oloroso (che avranno subìto una trasformazione ossidativa, dato che l’elevato titolo alcolometrico non avrà permesso alla flor di svilupparsi) troviamo i Cream (nei quali sarà aggiunto un massimo del 15% di Pedro Ximénez concentrato) e i Pedro Ximénez (prodotti con uve omonime appassite al sole). Indipendentemente dal tipo di Sherry, i vini vengono fatti maturare grazie al metodo Solera, che garantisce l’uniformità e il carattere del prodotto, poiché le botti sono impilate in criaderas (pile a forma di piramide, dove la criadera a contatto con il suolo – solera – contiene le annate più vecchie e quella più in alto le più giovani): ogni anno si spilla dalla solera una percentuale (per legge, non più del 30%) di vino per imbottigliarlo. Il vino tolto sarà rimpiazzato con il vino delle botti della fila superiore e così via, fino alla fila più in alto, che verrà colmata con il vino dell’ultima annata.
Una categoria a parte sono i Vintage, che potremmo paragonare ai nostri millesimati. Per certificare maggiormente l’età di questo vino, i produttori si sono dati altre due classificazioni: VOS (per i vini sostati per minimo 20 anni in Solera) e VORS (minimo 30 anni). Gli Sherry possono essere prodotti secchi, abboccati o dolci. Gli spagnoli lo considerano un vino a tutto pasto, che spesso viene abbinato alle loro deliziose tapas e che viene bevuto nei gotti, che sembrano tulipani appena schiusi.
Hidalgo è l’unica azienda ancora in mano alla famiglia fondatrice a Jerez de la Frontera. L’attività iniziò nella seconda metà del XIX secolo e già nel XX secolo aveva raggiunto molti paesi, con una delegazione a Londra. I magazzini sono costruiti nel puro stile di Jerez, con un’architettura denominata cattedrale, per la somiglianza con gli edifici religiosi andalusi, con pareti spesse rivestite in calce (per riflettere i raggi solari e mantenere l’umidità) e con grandi finestre, che permettono un’ottimale ventilazione per l’affinamento e l’invecchiamento dei vini. La filosofia produttiva è di mantenere la tradizione, producendo vini classici con il massimo rispetto delle usanze e della cultura che da secoli contraddistingue questo vino. La prima criadera messa a dimora è del 1861, anno di rivolte e di cambiamenti (veniva proclamato il Regno d’Italia, Abraham Lincoln veniva eletto 16° presidente degli Stati Uniti e iniziò la Guerra di Secessione).
È un piccolo gioiello, questo Santa Ana Pedro Ximénez 1861. Mentre lo assaggio, mi vengono in mente le persone che hanno lavorato a questo nettare: i vendemmiatori, i maestri di cantina e il proprietario stesso, che (in cuor mio, mi piace pensarlo) sapevano che avrebbero fatto un vino per altri, e non per loro stessi, dato che ha più di 100 anni. La criadera in cui è maturato è stata chiusa nel 1876 e ancora oggi, ogni anno, vengono rilasciate a malapena 100 bottiglie. Come dice il nome, viene prodotto solo da uve PX con un leggero appassimento (5-7 giorni), per una maggiore concentrazione di zuccheri. Al colore è di un mogano intenso impenetrabile, con una consistenza molto densa e sembra quasi cioccolato fuso. I profumi che si attaccano al bicchiere danno sensazioni di uva passa e fichi secchi, con note tostate, ricordi di nocino, di saba e di cioccolato, intensissimo e complesso. Il gusto è quello per cui ho iniziato ad amare gli Sherry. Dolce ma non stucchevole – come verrebbe da pensare alla vista – e con un alcol al 15% ma appena percepito, ecco che – appena deglutisco – mi si ripresentano le stesse sensazione percepite all’olfatto. Pastoso e viscoso, sembra di masticare caramello appena fuso (occhio alle scottature!) e ha un retrogusto di aceto balsamico tradizionale extra vecchio. Una persistenza infinita mi fa capire quanto questo vino sia eterno e raro. E quanto sia un privilegio averlo degustato.