Il protagonista di oggi è un vino d’alta quota che merita un posto d’onore tra i bianchi autoctoni italiani. Il Blanc de Morgex et de La Sallemenzione geografica della Valle d’Aosta DOC e soprannominato ‘il vino più alto d’Europa’ – è ricavato da uve Prié Blanc coltivate sulla riva sinistra della Dora Baltea, tra gli 800 e i 1200 metri, soglia estrema della viticoltura, tra terrazzamenti strappati alla montagna e muretti a secco.

 A queste altitudini vertiginose, in condizioni quasi proibitive per la coltivazione della vite, il Prié Blanc – considerato da molti il simbolo autoctono bianco della Valle d’Aosta e coltivato esclusivamente nei comuni di Morgex e La Salle, in Valdigne – è l’unico vitigno che si è perfettamente adattato. E proprio queste altitudini, le dure condizioni climatiche e i terreni sabbiosi hanno permesso a questo varietale di resistere alla fillossera, cosicché le viti sono coltivate ancor oggi a piede franco. Le origini del Prié Blanc sono controverse: non è certo se provenga dal Vallese o dalla Savoia, oppure se sia un vitigno indigeno valdostano, tuttavia la sua presenza è documentata nel territorio fin dal 1200, ed è qui, in questo piccolo terroir, che esprime al meglio le sue potenzialità, con vini sottili ed eleganti.

Su questi ripidi pendii la viticoltura è ovviamente confinata in piccoli appezzamenti e le viti sono allevate con il tradizionale sistema della pergola bassa, che protegge i grappoli dai venti freddi e consente loro di ricevere di notte il calore accumulato di giorno dal terreno e dalle pietre dei muretti a secco, con un’ottimale maturazione delle uve. Il Prié Blanc ha un ciclo vegetativo intelligentemente breve: germoglia in tardissima primavera – per sfuggire a brinate e gelate – e matura precocemente a inizio Settembre, anticipando così le prime nevicate autunnali. La coltivazione in un ambiente tanto estremo porta con sé anche dei vantaggi: l’altitudine e il clima gelido riducono al minimo i trattamenti e l’uso di pesticidi. Sul mercato, il Prié Blanc viene proposto nelle versioni fermo tradizionale, passito e spumante Metodo Classico.

Negli ultimi trent’anni i vini valdostani hanno avuto una notevole crescita qualitativa, testimoniata dai numerosi riconoscimenti a livello nazionale e internazionale, grazie a vignerons tenaci e caparbi che hanno coltivato il Prié Blanc su questi terreni rocciosi e impervi e che hanno visto finalmente riconosciuti i loro sforzi, riuscendo a produrre un vino particolarissimo, capace di racchiudere in un bicchiere tutte le caratteristiche di questo terroir alpino. Proprio come il nostro Vallée d’Aoste DOC Blanc de Morgex et de La Salle 2018 di Ermes Pavese. 

Dire Ermes Pavese, in Valle d’Aosta, è dire Prié Blanc. Viticoltore di montagna forte e determinato, fa il vino in modo artigianale esattamente lì dove vive. Comincia nel 1999, ereditando dalla famiglia una tradizione vitivinicola di lungo corso che lui, con la sua passione, ha trasformato nell’attuale azienda a Morgex, in frazione La Ruine: sette ettari di vigneti a piede franco molto frammentati, tra i 900 e i 1200 metri. Una viticoltura estrema, in cui occorre centellinare i raggi del sole, occupando i pochi fazzoletti di terreno con esposizione favorevole e terrazzare, dove è possibile, questi impervi anfiteatri vocati alla vite. Massima salubrità, utilizzo di prodotti di origine biologica e totale assenza di meccanizzazione.

E sempre la famiglia come filo conduttore, sia nella vita agricola da sostentamento di una volta che nell’azienda di oggi, perché tutte le fasi di produzione, dalla vendemmia alla vinificazione, sono seguite direttamente insieme ai figli Nathan e Ninive, per regalare interpretazioni uniche del Prié Blanc, che proprio Ermes – per primo – ha proposto come base per spumanti Metodo Classico. Una curiosità: tutte le etichette dei vini aziendali riportano i quadri dell’artista valdostano Giorgio Frutaz, perché anche l’occhio vuole la sua parte ed Ermes, che ha studiato grafica, lo sa bene.

Il suo Blanc de Morgex et de La Salle – Prié Blanc in purezza, ovviamente – è ottenuto partendo da una vendemmia manuale svolta nell’ultima decade di Settembre. In cantina i grappoli interi non diraspati subiscono una pressatura soffice e vengono vinificati in acciaio a temperatura controllata con frequenti rimontaggi. Prima dell’imbottigliamento subisce una filtrazione sterile.

Il vino ha un colore giallo paglierino scarico e un naso delicato, dalla spiccata mineralità: apre con note vegetali di erbe di montagna, fieno e fiori di campo; rivela poi fragranze floreali e fruttate di biancospino, pesca bianca e pere Williams, che sfumano in sentori agrumati di cedro e bergamotto, per terminare ancora con stupende sensazioni minerali di ardesia bagnata. Sapido e gustoso, il sorso è gratificante e rivela piacevoli ritorni citrini. Finale lungo e persistente. Un vino con l’acidità come punto di forza, ottimo come aperitivo e che si abbina molto bene ad antipasti delicati, formaggi di media stagionatura (come la fontina) e piatti con cotture semplici e dai sapori leggeri. Matrimonio d’amore: trota di torrente gratinata alle erbe.

Una regione in cui si coltiva la differenza, un vino versatile dal fascino estremo, che riesce a sintetizzare le sue origini e il territorio esprimendo artigianalità, identità e piacevolezza. Un vero vino di montagna, prodotto dove la viticoltura è davvero eroica. Complimenti, Ermes. E grazie.