Prima di portare il calice al naso, aspetto. Poi aspetto e aspetto ancora, perché voglio che sia il vino a invitarmi, ad aprire le braccia e dirmi: «Eccomi, ora sono pronto».

Quando ci troviamo di fronte a un vino come questo, considerato una leggenda, e non solo in Francia, quello che serve è la pazienza, quella pazienza che ti fa attendere il momento giusto per tuffarsi nei suoi profumi. Solo allora il prezioso liquido che ammireremo nel calice ci darà il via libera per farsi apprezzare al meglio del suo potenziale e farci godere appieno dei suoi aromi e dei suoi sapori.

Siamo ovviamente a Bordeaux, dove l’uva è coltivata da 2.000 anni nei lussuosi châteaux, le tenute vitivinicole di costruzione medievale nelle quali vengono allevate le uve più famose del mondo, quelle del taglio bordolese (Merlot, Cabernet Sauvignon e Cabernet Franc), che in questa bottiglia del 2012 trovano il loro equilibrio in un blend a maggioranza Merlot (65,5%), con il 32,5% di Cabernet Sauvignon e un tocco poco più che simbolico (2%) di Cabernet Franc. La zona ha un clima oceanico temperato ed è protetta da una foresta di pini lungo il litorale che ne mitiga le temperature e l’umidità, creando un microclima unico e perfetto per la maturazione di queste uve e per sviluppare i corredi organolettici caratteristici di questo vino.

Château Haut-Brion – addossato com’è alla città di Bordeaux, nella AOC Pessac-Léognan – si estende su un areale di meno di 50 ettari ed è quindi un’azienda piccola, se comparata con i quattro colossi Premiers Grands Crus Classés del Médoc, cioè Château Margaux, Château Latour, Château Lafite-Rohtschild e Château Mouton-Rothschild: un po’ come un Davide contro quattro Golia, insomma, ma per fortuna soltanto come quantità. Le vigne crescono su terreni poveri, permeabili e ciottolosi, che invitano le radici delle viti a scendere in profondità, per raccogliere una notevole quantità di sostanze e contribuire a uno sviluppo ottimale della struttura.

Nel calice questo Château Haut-Brion 2012 si presenta di un rosso rubino profondo, difficile da penetrare, con una lucentezza riflessa sulla superficie che denota la sua giovinezza. Poi, finalmente, dopo diversi minuti che lo osservo, me lo dice: «Ora sono pronto per inebriare i tuoi sensi» e così, portandolo al naso, mi regala i suoi profumi intensi ed eleganti, fatti di frutta nera matura, piccoli frutti di bosco (soprattutto mirtilli selvatici) e ancora prugna e liquirizia, virando verso aromi appena accennati di cuoio, con un tocco di vaniglia.

Il sorso ha un ingresso suadente e pieno di fascino: è equilibrato, dinamico e potente ma delicato, con note animali e burrose accompagnate da una freschezza notevole e con una persistenza lunghissima. «Caspita, che vino!,» viene da dire. Il potenziale è davvero alto, grazie alla qualità di tannini, che per il momento sono ancora nel loro vigore giovanile e – anche se non sono proprio astringenti – ci fanno capire che dovremo aspettare ancora qualche anno perché si bilancino e trovino una perfetta armonia, per godere il vino al meglio. A questo punto, la domanda è: potrà un’annata irrisolta come la 2012 arrivare al livello delle due precedenti? La risposta è sì, in maniera assoluta. 

Vorrei chiudere tornando al paragone tra David e Golia in riferimento alle vigne da cui nasce questo vino e dire: «Mesdames et Monsieurs, non dimenticate mai che il buon vino sta nelle botti piccole. Merci».