Esistono alcuni vitigni che assumono una veste magica per coloro che ne sanno attendere con pazienza i frutti. Mi viene in mente una canzone dei Queen (l’intramontabile band di nuovo alla ribalta per il film biopic sul suo scomparso leader Freddie Mercury): «(It’s a) kind of magic». Il Cabernet Franc ha da sempre rappresentato per il sottoscritto l’anello di congiunzione tra Uomo e Natura. Mentre altre uve soffrono in presenza di climi rigidi e particolarmente umidi, lui ne trae energia: anzi, poco prima della vendemmia, la pioggia copiosa gli fa da vero e proprio toccasana, evitandogli anomale deviazioni aromatiche. La garanzia di un frutto purosangue, tutto incentrato sulle piccole dimensioni, sui sentori del bosco, sulla vivacità e la gradevolezza di una cassetta di more selvatiche, o piuttosto lamponi e ribes maturi appena colti. Rispetto agli altri ceppi internazionali, non dà il meglio di sé ubiquitariamente, ma nelle zone dove attecchisce si esprime in vini unici nel loro genere. La carezza in un pugno… di potenza, in particolare tannica, dalla robusta persistenza e dagli aromi di bocca morbidi e delicati.
In quest’ottica ho avuto modo di incontrare un produttore che non segue i soliti canoni e produce sia Cabernet Sauvignon che Cabernet Franc a Cortona, patria del più ‘panciuto’ Syrah, scuro come la pece e come il colore dei terreni di quel territorio. Un Cabernet Sauvignon con ben 8 g/l di acidità: roba da far salivare solo a pensarci! L’Azienda Agricola IVITI di Luca Viti è così come la si vede: pochi fasti, tanta concretezza. Quasi nascosta da un panorama meraviglioso della nostra amata Toscana, consta al momento soltanto di 2 ettari, che le consentono 5.000 bottiglie circa di Cabernet Sauvignon e solo 600 di Cabernet Franc.
Ed è proprio il Cabernet Franc 2017 che ha catturato la mia attenzione, nonostante l’ottima qualità del Cabernet Sauvignon, riconosciuta da numerose guide ed esperti del settore. Il problema – e che problema! – è che questo vino non sarà pronto fino al 2020, essendo questa la prima annata prodotta; non rimane quindi che aggirare il problema e assaggiare il vino direttamente dalla pièce bordolese in cui è nato e cresciuto fin dalla sua fermentazione alcolica.
Appena questo ‘campione di bótte’ è sceso nel bevante ne ho potuto apprezzare immediatamente la grandissima pulizia. Un colore perfetto: rosso rubino dai riflessi violacei, luminoso e denso. Al naso è straordinario: la perfezione di un frutto variegato ai gusti di mirtillo, mora, ribes, amarena e poi petali di rosa baccara, peonia, violetta e glicine: che meravigliosa misticanza. Un tocco di vaniglia, qualche sbuffo tenero di noce moscata e bacche di montagna completano un quadro aromatico già intenso e ricco. Al gusto, ovviamente, bisogna districarsi tra un’acidità molto accentuata, che esalta alcoli amilici immaturi, e poi, con la dovuta pazienza, si nota un tannino setoso, che nulla ha a che vedere con la rugosità che ci si aspetterebbe da un’anteprima. Un vino che mi sento di definire formidabile, che denota grinta, carattere e spazio evolutivo misurabile a lustri.
Se queste sono le premesse, per un’azienda nata soltanto nel 2014, non mancheranno di sicuro magnifiche sorprese in futuro. Stay tuned.