Una degustazione introspettiva – di verifica personale, ‘fatta in casa’ – di un vino prodotto in un’azienda a conduzione familiare nella zona sud di Montalcino, in vigne soleggiate ma ventilate, su suoli ricchi di argilla calcarea ferrosa, condizioni ideali per apportare freschezza, struttura e mineralità. Vediamo se in questo Rosso di Montalcino troverò conferma alle promesse del terroir.
Già dal colore vivo che ha – mentre entra festoso nel bicchiere – ti aspetti un vino che non ti lascerà indifferente, un vino che qualcosina da raccontare deve avercela. Poi, quando lo porti al naso, intenso e di buona complessità, trovi conferma alla prima impressione: ha un’ottima finezza e tipicità, riconoscibile dai sentori di ciliegia, mora e viola, caratteristici del Sangiovese Grosso, impreziositi da una bella nota minerale e anche lievemente balsamica. Ma è al gusto che dà il meglio di sé: ingresso potente e ampio, che riempie la bocca; lunga persistenza; come mi aspettavo, anche struttura importante; caldo e morbido, ma con giovanile freschezza e retroacidità, che ti invogliano e ti preparano a bere il prossimo bicchiere. Un vino che, come avevo premesso, ha una storia da raccontare: una storia di passione, di amore per la vigna e la cantina, una storia che ti affascina e ti invita ad aspettare il blasonato fratello maggiore, quando sarà pronto e si degnerà di concedersi.
Naturalmente, questo Rosso non è – nessuno gli chiede di esserlo – un vinone da meditazione, ma è – giustamente, come è naturale che sia un Rosso di Montalcino – un ottimo compagno quotidiano, un vino che puoi bere e ribere tranquillamente, a tutto pasto, sulle specialità che la nostra ricca terra ci regala, ma non solo: io l’ho provato con successo su una bella amatriciana casalinga, per esempio. Il mio personale voto, al momento della degustazione, è di 85/100.