Sulla sommità di un terrazzo che degrada dolcemente verso la Garonne (40 chilometri a sud-est di Bordeaux), si trova il secolare castello di Yquem, un’imponente ex fortezza del XII secolo che, grazie alla famiglia dei Lur-Saluces, è diventato il faro assoluto della leggenda del Sauternes, lo straordinario vino dolce prodotto con l’indispensabile intervento della botrytis cinerea. In questa specifica area geografica si sviluppano le suggestive nebbie che permettono la formazione e la propagazione della muffa nobile, che da oltre 400 anni permette la creazione di questo brillante nettare dorato. Lo straordinario legame simbiotico che si instaura tra la muffa e gli acini (di uve Sémillon, Sauvignon Blanc e Muscadelle) porta a un’importante concentrazione di glicerolo e ad una conseguente deacidificazione dell’acido tartarico, per costruire l’esclusiva unicità di questo elegante e longevo vino dolce. Tuttavia, per esaltarne la magica alchimia produttiva, è necessario il pignolo e rigoroso savoir faire umano, che durante l’epoca di vendemmia deve comprendere e valutare con ferrea attenzione il perfetto stato di sviluppo della botrite sugli acini, che a Yquem significa avere rese spietate, equivalenti a un bicchiere di Sauternes per ceppo, permettendo così di cristallizzare il lento e misterioso lavoro che svolge la natura in questo luogo benedetto. 

Universalmente riconosciuto come la stella più luminosa del suo firmamento, lo Château d’Yquem (oggi facente parte del gruppo LVMH) deve l’inizio della sua parabola ascendente a Françoise-Joséphine Sauvage de Lur-Saluces che – a cavallo tra il 18° e il 19° secolo, con tenacia e lungimiranza – portò l’azienda a ricevere – nella Classificazione del 1855 – l’attestazione di unico Premier Cru Supérieur tra i vini bianchi di Bordeaux.
Oggi come allora, Yquem mantiene intatta la sua posizione di assoluta eccellenza della denominazione, facendosi carico di diffondere quel messaggio di lussuosità, aristocraticità e rigore che incantò personaggi del calibro di Napoleone Bonaparte, Thomas Jefferson e Costantino di Russia.

Questa sera mi trovo di fronte a un 1995, che dimostra l’incredibile longevità di un vino concepito per stupire da secoli. Il suo colore ambrato scuro, attraversato da luminosi riverberi dorati, diffonde un’aura solenne in tutta la sala e basta muovere il calice dall’alto al basso per rimanere ipnotizzati dalla sua brillantezza. Colpito nel profondo, procedo con il primo approccio olfattivo, che palesa immediatamente una raffinata intensità, che porta in alto profumi legati alla complessità fruttata di mango candito e pesca sciroppata, abbracciati dal tipico sentore di zafferano e, dopo qualche secondo, amplifica i descrittori, facendomi percepire note di burro fuso, bacca di vaniglia e miele di castagno. Una spiccata verve balsamica (che ricorda la resina e la canfora) rinfresca la mucosa olfattiva, mantenendo irresistibile la prosecuzione dell’analisi, che mi porta a percepire note legate al sottobosco, come il fungo secco e l’inebriante aroma del tartufo bianco. Se colore e olfatto mantengono brillantemente le mie grandi aspettative, in bocca esse vengono addirittura oltrepassate, permettendomi di comprendere l’unicità dello stile Yquem. Il sorso mostra un equilibrio disarmante tra morbidezza glicerica e agrumata acidità, che lo fanno scorrere con grazia all’interno della bocca, portandolo diritto e pacato alla deglutizione… Attendo qualche secondo e il vino rivela la sua grandezza, grazie a una persistenza retro-olfattiva letteralmente infinita, nella quale ritrovo cenni di fico secco, tartufo e burro d’arachidi. 

Un’esperienza fortemente emozionale, che marchia a fuoco la lettera Y nel cassetto dei miei ricordi e che mi fa guardare con rispetto e ammirazione a questo esempio assoluto, capace di veicolare nei secoli “l’arte di essere un mito”.